di Gianni Scapellato
Bernardo Caprotti, classe 1925 e ben portati ha una visione: accorpare un’intera area di 44 chilometri quadrati, pari a un terzo della Città di Milano, e farne l’Aeroporto Intercontinentale del Nord Italia. L’area scelta dall’ex imprenditore del tessile convertito dai Rockefeller alla Grande Distribuzione già alla fine degli anni ’50, è quella in cui attualmente vi sono già due aeroporti, quello civile di Brescia Montichiari, e quello militare di Ghedi. Nel mezzo e tutt’intorno vi sono strade, ferrovie, autostrade, alta velocità, abitazioni e terreni privati.
Un po’ più in là c’è la città di Brescia. Il progetto, che non stima ne i costi ne chi li dovrebbe sopportare, parte dal postulato che la pianura padana è una “macro regione isolata ove 28 milioni di abitanti sono privi di collegamento con il resto del mondo“ (cito testualmente). Circa le cause, lo studio si limita a evidenziare che l’aeroporto di Milano Malpensa è sottoutilizzato perché scomodo e non baricentrico rispetto alla macro regione padana, che l’aeroporto di Milano Linate è piccolo e ha una brutta aerostazione, mentre quelli di Bergamo Orio al Serio e Verona Villafranca vengono considerati solo come tempi di collegamento con questa nuova visione. Perché è cosi che Caprotti la definisce. Ed è vero.
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Poi Caprotti inserisce in questa vasta area, al posto dei due aeroporti civile e militare esistenti, delle strade, delle ferrovie, delle autostrade e delle abitazioni e dei terreni privati, l’aeroporto di Parigi Charles de Gaulle così e com’è oggi. E siccome l’una figura rientra nell’altra, la visione si è completata con l’evidenza che il nuovo Aeroporto Intercontinentale del Nord farà felici 30/40 milioni di abitanti che miracolosamente si trasformano in passeggeri, tutti finalmente serviti dal nuovo aeroporto ove qualsiasi compagnia aerea sarebbe disposta a farne il proprio hub (cito testualmente). Egregio architetto Honoris Causa Bernardo Caprotti, guardi che gli aeroporti non volano! E non trasportano nessuno. L’aeroporto Charles de Gaulle, così come tutti gli altri che Ella cita, il Dallas Fort Worth, Londra Heathrow, il New York JFK o quelli di Dubai e Abu Dhabi, sono nati e si sono sviluppati nel tempo assieme al vettore aereo di riferimento.
Non è il cemento che fa arrivare gli aerei. È il contrario. Air France si è sviluppata assieme allo Charles de Gaulle, Delta Airlines si è sviluppata assieme al Fort Worth, British Airways si è sviluppata assieme a Heathrow, Pan Am e TWA hanno fatto crescere il JFK, le compagnie aeree Emirates ed Etihad stanno facendo crescere gli aeroporti di Dubai e Abu Dhabi. Alle sviluppo delle infrastrutture va accompagnato lo sviluppo delle industrie di servizio che danno proprio quella prestazione per cui sono state progettate e costruite. Oggi si può costruire di tutto, la tecnica è matura. Si potrebbe ipotizzare un doppio canale navigabile che dal Tirreno e dall’Adriatico conduca navi verso un mega porto avanti a Brescia, tipo Rotterdam o Anversa, se per questo.
Se proprio vuole dare un contributo importante, efficace e serio allo sviluppo del trasporto aereo, caro architetto Honoris Causa Bernardo Caprotti, faccia nascere e sviluppi una compagnia aerea realmente padana, realmente forgiata con l’incommensurabile e inimitabile determinazione dei Capitani d’Industria di questa vasta e produttiva regione, che fino ad ora ha tralasciato proprio questo settore. Sono gli aerei che volano, è la Compagnia Aerea che da il servizio e che, se è gestita da abili manager, e consolidata da forti azionisti, crescendo fa crescere l’aeroporto. Non il cemento, le ali.
Gallarate, 30 marzo 2015