Al grande trasparente

Al grande trasparente

Questa cosa con il trading, la finanza, l’economia e forse perfino con la letteratura, non c’entra niente. Questa cosa è una cosa, per l’appunto. Sta, come una cosa, tra le cose. Occupa. Ma, in più, riverbera nello spazio che l’attornia un dolore lancinante. Questa cosa alcuni direbbero che è disperata. Altri che è disperante. In realtà questa cosa non puoi qualificarla giustapponendola alla speranza, perché non la conosce.

Questa costa antecede ogni intento. Questa cosa è descrizione pura. Sguardo che si posa. E registra. E diventa voce. E incanta. Perché oggi, mentre entravo in libreria a depositare le copie del mio libro, ho intravisto una copertina recante un nome verso cui tributo un assoluto rispetto. Non sono molti. Quel nome è David Foster Wallace. «La quarta», penso. L’ho girato, il libro, e ora la quarta è davanti agli occhi. Leggo:

«La nostra piccolezza, la nostra insignificanza e natura mortale, mia e vostra, la cosa a cui per tutto il tempo cerchiamo di non pensare direttamente, che siamo minuscoli e alla mercé di grandi forze e che il tempo passa incessantemente e che ogni giorno abbiamo perso un altro giorno che non tornerà piú e la nostra infanzia è finita e con lei l’adolescenza e il vigore della gioventú e presto anche l’età adulta, che tutto quello che vediamo intorno a noi non fa che decadere e andarsene, tutto se ne va e anche noi, anch’io, da come sono sfrecciati via questi primi quarantadue anni tra non molto me ne andrò anch’io, chi avrebbe mai immaginato che esistesse un modo piú veritiero di dire “morire”, “andarsene”, il solo suono mi fa sentire come mi sento al crepuscolo di una domenica d’inverno…».

Questa è la cosa. Che esisterà in eterno perché solo in apparenza si trasforma in suono. Questa cosa l’aria non la conosce nemmeno. È terra. Solo terra, come lo siamo noi. Sopra, abbiamo gravami di celeste lucore. Ma non siamo quel lucore, siamo terra. Quel lucore ci appartiene solo se dalla terra alziamo gli occhi e ne cogliamo, nell’attimo, il brillio. Chiudendo le palpebre lo tratteniamo il tempo di un respiro. Ma poi se ne va. Questa cosa è una cosa perché non appartiene a questo mondo. Non c’è una parola per dirla.

Pensateci: che cosa ci lasciano le righe di Foster Wallace, dopo averle lette. Niente. Lasciano il niente di prima e il niente di dopo. Dicevamo: non sono forse esistite nemmeno nel pronunciarle, nemmeno come onde sonore.

Perché sono infinitamente trasparenti. Io di queste parole scritte, di questi segni neri sulla carta riesco solo a dire che sono trasparenti. Questa cosa è ineffabile trasparenza. In questa trasparenza, in questo annullamento, in questo niente aderente agli oggetti, agli spigoli, agli alberi, alla pelle, c’è quel brillio del sole. Rimasto impigliato nelle ciglia, mentre tentava di fuggire. Da occhi né aperti né chiusi. Vero Stanley? Kubrick, intendo.

A presto.

Edoardo Varini

(4/11/2011)

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