Cinquantanove missili Tomahawk sui criminali
Cinquantanove missili Tomahawk lanciati da due cacciatorpediniere nel Mar Mediterraneo nella notte di ieri hanno ricordato al mondo che il suo gendarme è tornato.
L’attacco statunitense contro la base Ash Sha’irat, nella provincia di Homs, nella Siria Occidentale – da cui partirono gli aerei che lo scorso martedì attaccarono con armi chimiche la cittadina di Khan Sheikhoun, Siria, Governatorato di Idlib – ha posto in secondo piano tutti gli altri governi, tutte le altre diplomazie, tutte le altre idee circa la risposta da dare ad un dittatore che fa morire come nemmeno i cani, come nemmeno i topi, come nemmeno gli insetti, 80 persone tra cui 22 bambini e 17 donne. I feriti sono 400.
Perfino Putin il volitivo, il combattente, il decisionista, quando dice che: «il bombardamento statunitense contro la Siria è un’aggressione contro uno Stato sovrano in violazione del diritto internazionale e sotto falsi pretesti» si copre di ridicolo.
Non sono morte straziate dal Sarin, le vittime del raid aereo con i gas tossici ordinato da Assad contro la popolazione di Khān Shaykhūn.
Sono morte per un’intossicazione da gas cloro: i corpi stesi per terra, quando erano ancora persone, non erano in preda a convulsioni, come sarebbe accaduto con il Sarin. Cercavano l’aria, avevano la bava alla bocca e le vie respiratorie bruciate, inservibili, come succede se respiri acido cloridrico.
I soccorritori non usavano guanti, e non lo facevano perché non c’era rischio di contatto. Il cloro può ucciderti solo per inalazione, ed il cloro compare tra gli elementi certi risultanti dalle autopsie condotte dai medici inviati sul posto da Ankara.
Leggo sul sito della CNBC che il Pentagono ha dichiarato il proprio intervento «una risposta proporzionata all’atroce attacco».
E che il portavoce della Casa Bianca Spicer ha detto che: «queste azioni efferate del regime di Bashar al-Assad sono una conseguenza della debolezza e dell’indecisione della precedente amministrazione». Difficile negarlo.
Dopo la strage con le armi chimiche di Ghūṭa del 2013 Obama non fece nulla per punire la violazione di quella che lui stesso aveva definito l’anno precedente una “linea rossa” da non superare.
E se non stai trattando con gentiluomini non è con la persuasione che ottieni il risultato.
La verità è che cinquantanove missili su una base militare non sono una reazione proporzionata a quanto compiuto a Khan Sheikhoun da Assad sui civili.
Ma sono una reazione forte. Più delle parole imbelli che ci soffocano quotidianamente come acido cloridrico. E che non sembrano mortali, ma lo sono.
A presto.
Edoardo Varini
(07/04/2017)