Dall’enigma della politica alla politica dell’enigmistica
Eh sì. Ci voleva la rilevazione di Eurostat, l’agenzia di statistica dell’Unione Europea, per scoprire che gli stipendi italiani sono i più bassi d’Europa. L’affanno finanziario del venti del mese non bastava. Perfino i ciprioti prendono di più: 24.770 euro all’anno; noi appena 23.406. Nel rapporto asetticamente intitolato Labour market statistics abbiamo una tabella comparativa di un dato: il reddito medio, riferito al 2009, di un lavoratore di un’azienda di almeno dieci dipendenti che opera nel ramo dell’industria, delle costruzioni, dei servizi e del commercio.
Tanto per avere un’idea di quale fallimento di politica economica rappresentino quei 23.406 euro, si pensi che la busta paga greca ammonta a 6.000 euro in più e quella danese, la prima della lista, a 33.000 euro in più; quella tedesca supera la nostra di “soli” 17.500 euro. E non si parli di diverso costo della vita, perché Milano nella classifica delle città più care del mondo figura in trentasettesima posizione e Berlino appena sopra, alla trentaseiesima. Però io, da italiano, starei tranquillo, perché il nostro ministro del lavoro Elsa Fornero ci dice da New York che sta per introdurre una «flessibilità positiva che porti i salari a salire e non a scendere».
Ma, scusate, sarà che io sono un po’ tardo: ma che diavolo è la “flessibilità positiva”? Ma chi altri paga il costo della flessibilità se non il lavoratore? E anche la parola “flessibilità”, nella sua ipocrisia, quanta protervia nasconde? Il dizionario ci dice che la “flessibilità” è la «disponibilità a cambiare mansioni e posto di lavoro». In altre parole è l’accettazione della condizione di precarietà. Se almeno funzionasse… E poi, come attuarla in mancanza di ammortizzatori sociali? Negli ultimi anni in Europa si sono persi 6 milioni di posti di lavoro, malgrado e probabilmente anche a causa degli ostinati tentativi della sua flessibilizzazione.
Del resto il lavoro serve a produrre, ma la produzione, in assenza di salari che consentano di essere compratori, da chi viene assorbita? Vien da pensare che la politica sia diventata un esercizio di stile, alla Queneau, alla Perec, roba Ouvroir de Littérature Potentielle. Si prende un concetto, una trama (la produttività passa per la riduzione dei costi a carico del lavoratore) e si fanno le variazioni sul tema, gli spostamenti semantici. È una cosa che se non ci fosse di mezzo la vita delle persone sarebbe anche divertente.
Il calembour e la traslitterazione al posto della logica, un continuo “spostamento semantico”. Un esempio? L’espressione “flessibilità positiva” comparve per la prima volta nella legislazione in favore delle donne lavoratrici con riferimento alla loro possibilità di meglio articolare il tempo dedicato al lavoro con le personali esigenze familiari. Vi pare lo stesso senso in cui lo usa il nostro ministro del lavoro? Ma io davvero vorrei che qualcuno mi spiegasse come fa la precarietà ad essere bella e a far salire i salari. Che poi una volta che ho appreso il metodo risolvo anche la Congettura di Hodge e guadagno il milione di dollari che il Clay Mathematics Institute ha messo a disposizione di chi vi riesce.
Scrisse Perec: «Vado avanti facendomi scudo delle mie parole, delle mie frasi, dei miei paragrafi abilmente concatenati, dei miei capitoli astutamente programmati. Non manco d’ingegnosità». Ed io vorrei aggiungere, rivolgendomi alla Fornero: «Nemmeno lei», signor ministro.
A presto.
Edoardo Varini
(27/02/2012)