Di salari, aragoste e atomiche utopie

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Di salari, aragoste ed atomiche utopie

Mentre lo spread Italia Germania scivola sotto i 500 punti e dà nome all’ultimo ritrovato pirotecnico partenopeo (“O spréd”, proprio così, senza la “a”) con quella sorta di riduzionismo filosofico che potresti scambiare per mancanza di ideale e che è invece solo l’amoroso volgere delle cose del mondo entro la cuccumella – per chi non lo sapesse, la caffettiera napoletana da arrovesciare quando l’acqua bolle –, mentre l’ex discolo ed ex direttore del Fondo Monetario Internazionale Dominique Strauss Kahn ci addita l’origine di ogni sciagura nell’assenza di leadership (e ad essere sinceri la sua idea di una globalizzazione di stampo socialista non era poi tanto male), mentre la morte del “Caro leader” nord coreano divorator d’aragoste – secondo Dalí, l’“atomico” Dalí, creature dalle connotazioni sessuali pari solo a quelle dei telefoni – pare lasci arsenali nucleari in mano a chissà chi, ebbene, mentre tutto questo accade e ci avvoltola in una crescente incertezza, una certezza purtuttavia permane, ed è che il Presidente della Regione Siciliana dovrebbe guadagnare, per il lavoro che svolge, almeno il triplo. Lo dice lui. Non basta? Il bello è che prende già più di 16.000 euro al mese… Ora, non che non ne meriti 48.000 ma forse, visto che mala tempora currunt…


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Ce lo dice anche la “ministra” del lavoro Elsa Fornero, del resto, che ormai i salari sono troppo bassi…

Ma ammettiamolo, in fondo non bisogna equiparare chi è ricco a chi è cattivo. E a rivelarcelo è questa volta Mr. Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan, uno che nel 2010 ha guadagnato 23 milioni di dollari. E in effetti, a ben pensarci, che male c’è nella ricchezza?

Forse a scoprirlo potrebbe giovare una rilettura attenta del Vescovo di Magonza  Wilhelm Emmanuel von Ketteler, organizzatore (era il 1856) del movimento cristiano-sociale in Germania ed autore di quel La questione operaia e il cristianesimo in cui nero su bianco è scritto che «la questione sociale è una questione morale». L’unica riforma possibile del capitalismo deve originarsi da un rinnovamento morale. E pensate: ebbe l’ardire di immaginare delle associazioni di produzione nelle quali: «l’operaio è ad un tempo imprenditore e operaio, e riceve così una doppia porzione sui profitti dell’impresa: anzitutto il suo salario e poi la sua parte degli utili propriamente detti».

I capitali per farlo, nel pensiero di Ketteler, avrebbero dovuto darli “i cristiani”.  Oltre l’individualismo c’è il solidarismo. Non sono cose nuove. Fino ad oggi l’hanno chiamata “utopia”. Sarà forse la necessità sorta dallo sfaldarsi dell’individualismo liberale che ha originato e pasciuto troppo a lungo questo capitalismo senza scrupoli a darle un nome nuovo.

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Lo so che sembra un po’ una cosa daliniana, un «metodo spontaneo di conoscenza irrazionale dei fenomeni deliranti», un voler oggettivare a tuttii costi gli onirismi, un metodo paranoico-critico applicato alle idee: eppure risolvere è creare risposte e creare è esattamente antivedere con spirito fattivamente realista quel che non c’è. Quel che non c’era, ad essere precisi.

A presto. 

Edoardo Varini

(20/12/2011)

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