Gesù bambin ant l’ort
Il nostro premier su questo è stato quanto mai assertivo: «Chi gestisce la Fiat ha il diritto e il dovere di scegliere dove investire e le localizzazioni più convenienti». Lo dice al Convegno biennale del centro studi di Confindustria a Milano, all’indomani di un incontro con l’amministratore delegato di Fiat Group Automobiles Sergio Marchionne e del suo presidente John Elkann.
Hanno varcato il portone di Palazzo Chigi a bordo della nuova Panda col tettuccio nero compresi nel ruolo come Federico da Montefeltro e la Vittoria nel Trionfo di Piero della Francesca agli Uffizi.
Se vai al sito aziendale scopri che quell’utilitaria costa 12.500 euro, più o meno un anno di mensilità dell’operaio che la produce e all’incirca un’ora di paga di “Super Sergio”, nome che tra l’altro mi suscita anche qualche simpatia, essendo quello del mi defunto padre. E poi, ormai, chi si chiama più Sergio?
Pensare che nel deserto siriano un dì sorse perfino una Sergiopoli, una città che prima della decollazione del soldato martire cristiano si chiamava al-Rusafa. E l’odio verso di lui dovette essere grandissimo, tanto che prima della decapitazione venne costretto a fare il giro delle mura con chiodi confitti nei piedi.
Ora, può anche darsi che, se fosse per il segretario generale della CGIL Susanna Camusso, la sorte riservata a Super Sergio sarebbe proprio quella, e tuttavia dimenticarsi dei benefici avuti dall’industria automobilistica torinese da parte dello stato sarebbe davvero imperdonabile.
Ci ricordiamo, ma è solo un esempio, come le venne svenduta l’Alfa nel 1986? All’epoca l’Anonima Lombarda Fabbrica Automobili perdeva centinaia di miliardi l’anno. Ford, convinta delle potenzialità del marchio, offrì 4.000 miliardi per l’acquisto e altrettanto per gli investimenti nel quadriennio successivo. Fiat mise sul piatto 1.050 miliardi per l’acquisto (ne vennero sborsati appena 400) e 4.000, come Ford, per l’investimento, solo che non in quattro anni bensì in dieci, e un pesante taglio del personale. E l’Iri di Prodi consegnò l’Alfa a Fiat. E dal momento che la barca non navigava, vennero a sostenerla gli ecoincentivi. E poi i 6.000 miliardi del contratto di programma del 1988, e poi la rottamazione finanziata con i soldi pubblici. E, lo ripeto, sono solo esempi.
E allora forse il ministro del lavoro Elsa Fornero, quando replica a Monti che «Fiat non può fare ciò che vuole e non ha licenza di fare o disfare» non ha poi tutti i torti. Come tutti i lavoratori e i cittadini deve assumere comportamenti responsabili». Troppo facile cambiare orto quando coltivare il tuo diventa troppo faticoso. Quando non trovi, per dirla in piemontese, «Gesù Bambin ant l’ort».
A presto
Edoardo Varini