Il rosa è un colore da femmina
Sebbene appena da poco più di un secolo e mezzo sia così – all’incirca da quel Piccole donne che nessun ragazzino della mia generazione, delle precedenti o delle venture né ha mai letto né potrà leggere mai –, che oggi il rosa sia un colore “da femmina” è una verità incontrovertibile.
Per questa ragione di quel libro non so assolutamente nulla, se non il titolo, e che ne segue un secondo altrettanto inconoscibile: Piccole donne crescono.
Dipingere di rosa qualcuno è dunque dargli della “femmina”. Ammettiamolo: malgrado il processo di castrazione sistematicamente, caparbiamente e forse scioccamente messo in atto, ricevere quell’epiteto, per un “maschietto”, continua a non essere il massimo.
Dare della “femmina” ai tutori dell’ordine costituito – come hanno fatto ieri gli studenti dinanzi a Palazzo Lombardia – equipaggiati per di più di tutto punto con scudo ed elmetto e manganello, ha un che di autenticamente irriverente e dadaista, un che di inconsapevolmente colto e divertitamente sfrontato che, lo ammetto, non mi ha lasciato indifferente.
Temo che se fossi stato un preside di quelli che a breve la riforma della “Buona scuola” assimilerà a monarchi dispensatori di favori e castighi, avrei suggerito ad uno fra quel 5% di insegnanti più meritevoli di spartirsi il futuro “montepremi”, per così dire, di dare agli alunni la seguente “traccia del tema di attualità”: «La vie en rose è una canzone o la linea politica governativa?».
E avrei dato 4 a chi sapeva rispondere. Anzi 6. Perché, cari insegnanti, le insufficienze non bisogna darle mai.
A presto.
Edoardo Varini
(13/03/2015)