La bella che Jean sta abbracciando in foto
Tutti conoscono il padre, Pierre Auguste Renoir, che se la gioia di vivere è mai stata dipinta l’ha dipinta lui, nelle gote delle demoiselles e nei loro capelli di rame, nei cobalti delle acque e dei cieli, nel variopinto ombreggiare di giacche chiare, fogliame, pietanze e stoviglie e cappelli e nastri colorati e pianole e fondali di case e ippocastani e insomma, nel variopinto ombreggiare del mondo.
In meno – seppur sempre in molti – conoscono il suo secondogenito, Jean, regista dal talento sconfinato, autore di un film dalla bellezza sconfinata, La Règle du jeu, che quella regola dice con una grazia talmente lieve che disorienta: che il cambiamento è il cuore della vita ed ogni cosa che non danzi è morte.
Disorienta al punto, questa semplice verità, che la critica non seppe e non sa che interpretare il film come una condanna di una società in decadenza. Ma se la vai a cercare questa condanna, in ogni opulento piano sequenza, in quella sua insolita profondità di campo, se la vai a cercare anche cul lanternin, come dicono dalle mie parti, non la trovi. Quest’opera è un minuetto insanguinato, e ditemi voi se la vita non è questo.
Parlo di cinema, in queste mie povere note, per tre ragioni: la prima è che il chiarore notturno di certe sere d’estate è indistinguibile da quello del cinematografo, e adesso è estate; la seconda è che il cinema nei cortili – e anche questo accade solo d’estate – provoca in me una sorta di lucida sospensione metafisica che non mi farebbe stupire nemmeno di una statua parlante, e la terza ragione, della cui impoeticità non ho che da scusarmi, è che leggo che gli americani pur di far salire il Pil hanno iniziato ad includervi il cinema. E l’hanno fatto a testa bassa, all’americana, che le spese di produzione non son più tali ma investimenti.
L’Istat statunitense, il Bureau of Economic Analysis, da domani ricalcolerà tutti i prodotti interni lordi nazionali succedutisi dal ’29 ad oggi, perché un’altra cosa che si sa delle serate estive è che sono lunghe, che poi magari finisce che uno s’annoia.
Ricalcolare i Pil storici effettivamente può essere un’idea. «Siamo in un’epoca in cui tutti mentono», dice Octave, impersonato dallo stesso Jean Renoir a Christine de la Cheyniest, interpretata da Nora Gregor, la bella che Jean sta abbracciando in foto.
A presto.
Edoardo Varini
(30/07/2013)