La Lega: nazionale, nazionalista, libertaria. E finalmente con le parole per dirlo

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La Lega: nazionale, nazionalista, libertaria. E finalmente con le parole per dirlo

Sarà bene iniziare a riflettere senza pregiudizi e faziosità eccessive – non sono così ingenuo da ritenere e sciocco da pretendere venga creduto che la politica possa essere scevra da faziosità – su quale sia il reale peso politico, culturale e sociologico che riveste oggi la Lega Nord (ovviamente con la sua diretta emanazione al Centro Sud, la lista “Noi per Salvini”) nel panorama nazionale ed europeo.

Partiamo da un minimo di analisi politica, dal momento che è di un partito politico che stiamo parlando. Lo preciso perché non è più un concetto né acquisito una volta per tutte né scontato. Un partito politico è un’associazione che persegue finalità politiche mediante il controllo dell’apparato governativo acquisito attraverso regolari elezioni.

Per contare nella vita nazionale, in ogni suo aspetto, occorre raggiungere la maggioranza di governo. Questo avviene in ogni realtà democratica, sia essa bipartitica – cosa che del tutto astoricamente e dunque stoltamente ci siamo ostinati a voler essere per anni – sia essa multipartitica, cioè espressione di una molteplicità di conflitti sociali che probabilmente non sono una disgrazia – come vorrebbero i restauratori di un ordine sostanzialmente mitico e conservatore che ha come unica reale finalità la continuazione del privilegio di pochi –  ma una fortuna, che sono la vitalità di un popolo.

Tanto è importante che la conflittualità sociale venga riconosciuta e trovi adeguata rappresentanza democratica, quanto lo è che – non trovando tali riconoscimento e rappresentanza – non degeneri in lotta violenta, in guerra civile. Gli “Anni di piombo” non sono poi così lontani. Quella che venne definita, per l’appunto: «una guerra civile a bassa intensità».

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Un partito è dunque una compagine di lotta democratica per l’acquisizione del potere. La bontà dell’uso futuro di questo potere si basa sulla capacità di valutazione e previsione degli elettori, che dovrà essere massimamente informata e consapevole. Cosa che oggettivamente, alla luce delle manipolazioni mediatiche costantemente in atto, diventa sempre più un’evanescente chimera.

Ecco allora la necessità di esserci. Sul territorio. Di ascoltare le persone e di individuarne i reali bisogni, i più nascosti umori, di interloquire autenticamente e senza sovrastrutture. Non inventarsi piazze virtuali che altro non sono né potrebbero essere che il precipitato di luoghi comuni o dell’informatico chiasso, bensì calcare i palchi nei paesi, uno per uno e poi diffondere via Web il racconto di una gente. La tua. Quella italiana.

Questa è esattamente la metodologia di acquisizione del consenso di Matteo Salvini. Che è un politico, il che implica, come all’inizio dicevamo, che la sua unica intenzione sia governare attraverso la democratica acquisizione del consenso. Non è filosofia, ma non è nemmeno la sua antitesi. Tutt’altro.  È questo che sono venuto a dirvi.

L’approccio, come direbbero le crescenti moltitudini degli amanti degli inglesismi, è bottom-up. Si parte del basso e si sale. Nulla potrebbe essere meno elitario di questo.

E qui sta il vero e più fondamentale punto a favore della Lega: è legata al territorio. Alla gente. Come nessun altro partito politico.

La coesione identitaria degli elettori leghisti non ha pari. È un popolo. È stato il popolo del Nord, in una ormai interamente superata logica oppositiva tra Settentrione e Meridione d’Italia e  tra non molto sarà gran parte del popolo italiano.

Se la misura macroregionale è stata superata è stato proprio grazie all’attuale segretario, che dopo la batosta elettorale del 2013 – peraltro condivisa da tutto il centrodestra ma non solo, basti pensare al calo di 3 milioni e mezzo di voti del Partito Democratico – ha saputo volgere la dimensione “padana” della sua compagine in una più avveduta ed aggiornata e culturalmente fondata dimensione nazionale. Tale dimensione nazionale è inevitabilmente una dimensione identitaria. So che molti sedicenti liberali e progressisti storceranno il naso contestando, paventando, denunciando il nazionalismo, ed io vorrei subito chiedere loro se hanno mai sentito parlare di nazionalismo liberale. Perché non esiste solamente il nazionalismo irrazionale ed aggressivo che ha promanato l’imperialismo e le guerre mondiali. Lor signori lo sanno?

Ritenere che non siamo altro che la valigia di tradizioni, usi, costumi, lingua e storie che ci portiamo appresso non è che il presupposto alla curiosità di aprire la valigia altrui e non certo quello di bruciarla. Se si ha una forte identità ogni confronto è un arricchimento. Se non se ne ha è un annichilimento. Quell’apparentemente inarrestabile annichilimento che è in atto con il processo di globalizzazione parimenti e significativamente tanto caro al capitalismo ed alla sinistra.

Il nazionalismo liberale è per definizione anti xenofobo ed anti razzista e non trova altra legittimazione che la partecipazione dei suoi cittadini: è «il plebiscito che si rinnova ogni giorno» di cui parla Renan. Che citeremo ancora. «Attraverso le loro diverse vocazioni, spesso opposte, le nazioni servono alla comune opera della civiltà; tutte apportano una nota a quel grande concerto dell’umanità che è, in definitiva, la più alta realtà ideale da noi raggiunta».

È questo che i plutocrati e i burocrati non vogliono sentire: l’idea di un progresso civile universale mediante il risveglio delle identità nazionali. Però è questo che la Lega vuole dire. È verosimilmente questo che vogliono dire anche tutti i leghisti che i furbacchioni dei salotti di sinistra hanno buon gioco a bollare come ignoranti, come fascisti, come razzisti.

Ma il razzismo è questo. Il fascismo è questo. È l’approfittarsi della disparità culturale per liquidare i bisogni e i valori di un popolo. Se è evangelicamente vero che angusta è la via che conduce alla vita, quanto è grande questa via che conduce ad impiccare un cittadino un po’ meno istruito e loquace alla corda dei suoi obbligati silenzi?

Bene, io sono qui ad affermare e proporre, insieme a Matteo, insieme a Gian Marco ed a tutti coloro che condivideranno questo nostro progetto, una rifondazione culturale della Lega e dell’Italia, che sia premessa e sostanza del prossimo agire politico.

Siamo qui a riproporre la sola vera idea progressista ed egalitaria, la più negletta e negata e ferocemente contrastata da secoli, da millenni: che l’educazione è un fatto politico e che la corretta educazione, in un mondo a rovescio, è eversiva.

Canalizzare questa auspicata “eversione” in procedure e modi democratici è il nostro imperativo. Altro che l’imputazione di violenza! Senza arretrare di un passo in termini di rigore intellettuale, capacità di progetto e fermezza attuativa. Certo: si tratta di un capovolgimento di segno. Ci aspettiamo ogni attacco. Ma anche la sola aurora.

A presto. 

Edoardo Varini

(29/10/2015)

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