La mia città, Pavia, emblema dell’Italia dolente. Ora però basta

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La mia città, Pavia, emblema dell’Italia dolente. Ora però basta

I lettori della mia newsletter sanno che non mi occupo quasi mai della mia città, un po’ perché il mio pubblico è nazionale, ed un po’ perché non sono pavese per finta: sono attaccato alla mia città come solo i cinesi – così diceva il mio quasi concittadino (perché per uno “della Minerva”, quale io sono, San Zenone è un’altra cosa,) Gioann Brera fu Carlo – lo sono alla loro terra. Pertanto per me parlare di Pavia è un po’ come parlare della mia anima, cosa che da buon pavese, seppure per molti tratti atipico, non mi riesce tra le più facili.

Ma bando alle ciance – anzi, “ciance” è qui troppo toscano – bando alle “nastole” (“nastul” vale “bagatelle” in dialetto pavese, italianizzato) e veniamo al dunque: in questo editoriale parlerò della mia città perché vi si sono verificate due cose emblematiche del disastro del nostro fu Belpaese.

La prima: 78 lavoratori qualificati, settore microelettronica, sono stati licenziati per la decisione della casa madre statunitense, la Marvell Ltd., di abbandonare la ricerca e lo sviluppo del settore mobile.

È il secondo caso di licenziamento collettivo in provincia dopo l’eliminazione della vecchia procedura di mobilità (il primo riguardò la Lidl di Cigognola, in Oltrepò).

Nella città che fu un tempo delle cento torri la disoccupazione giovanile supera il 40%. Ora la chiamano la “Las Vegas d’Italia”, perché la spesa pro capite per il gioco è di 3.000 euro, quasi il triplo che nel resto della Nazione. Sulle sedie nei bar, in troppi bar, ci sono uomini e donne seduti davanti alle slot machine, e al loro fianco un’infinita disperazione che li spinge a cercare di vincere soldi perdendo la vita nel tirare una manovella che ti fa credere di trovarti davanti ad un distributore di caramelle alla frutta e che invece te le dà al veleno delle sere che scendono come una cappa di piombo sul tuo destino.

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A Santa Clara, California, i vertici della Marvell, hanno deciso che nella mia città 78 lavoratori restassero a casa. Sembra normale. A me non va. E malgrado le chiacchiere delle autorità locali, è accaduto. È l’ineluttabilità del mondo 4.0 bellezza, direbbe qualcuno che si crede astuto, e che probabilmente perderà il posto per la stessa ragione: all’altro capo del mondo c’è chi sta trattando la sua vita con la stessa empatia di un entomologo che studia gli imenotteri.

La lezione è che occorre avere qui le aziende e che siano aziende produttive. Le ultime che vai a tagliare. Le prime sono quelle che fanno ricerca, come facevano a Pavia e non faranno più.

La seconda cosa di cui vorrei parlare è un marcia che l’amico Gian Marco Centinaio mi segnala si terrà l’11 di marzo, finalizzata a sensibilizzare in merito alla necessità di costruire un nuovo ponte della Becca.

Sul Ponte della Becca – un chilometro di tubolari sopra la confluenza di Po e Ticino – ci passavo ogni sabato per andare dai miei zii che facevano il vino sulle colline bronesi (anche se per diletto, in realtà erano avvocati: poche bottiglie ma spettacolari). Quando il traffico rallentava il ponte tremava come una foglia: sto parlando degli anni Settanta.

Nel novembre del 2010 il ponte fu chiuso al traffico per il cedimento di un giunto strutturale. Un mese dopo venne riaperto ma ai soli mezzi più leggeri di 35 quintali. Del marzo 2011 è il crollo del pilone 9, e il ponte venne chiuso immediatamente al traffico veicolare e poi, dopo la riparazione, riaperto al solo traffico leggero a senso unico alternato.

Si è rilevato che la buca che ha causato il crollo del pilone 9 lo causerà dell’8, se non si corre ai ripari. E chissenefrega degli enormi problemi di viabilità. Oggi è stato ripristinato il doppio senso di circolazione ma solo per i veicoli inferiori a 35 quintali, e dopo che hai superato l’imbuto delle barrire in calcestruzzo.

L’amico Centinaio si sta dannando da tempo, da troppo tempo, per ottenere i soldi dalla Regione e dal Governo per la costruzione di un nuovo ponte, la cosa più ragionevole: lo capirebbero anche i pesci siluro che sguazzano nelle acque del confluente. Stiamo parlando di 20 milioni di euro, una cifra importante ma non impossibile.

L’11 marzo parteciperò a quella marcia e sarà bene che a Roma smettano di pensare che qui al Nord va sempre bene tutto. La pazienza, come il suo esaurimento, non conoscono latitudini.

A presto.

Edoardo Varini

(04/03/2017)

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