La strage di Lampedusa: l’Inesistente che ride in mezzo al mare

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La strage di Lampedusa: l’Inesistente che ride in mezzo al mare

«Durante la fase di imbracatura, mi sono trovato con il volto di uno di loro, un giovane, accanto alla mia maschera, era come se mi stesse chiedendo aiuto», così il sommozzatore Antonio nel mare di Lampedusa, negli ultimi giorni pescatore di morti.

Trecentosessantatré dei 518 migranti che il barcone portava hanno lasciato su questa terra, della propria vita, chi un paio di sandali, chi una coperta, chi nemmeno questo.

Il procuratore aggiunto di Agrigento Ignazio Fonzo dice che non verrà aperta nessuna inchiesta sui ritardi nei soccorsi in mare.

La Guardia Costiera si è difesa dicendo di aver ricevuto la segnalazione alle 7 e di essere giunta sul luogo del naufragio entro venti minuti. Ci sono testimoni del contrario.

C’è chi dice di avere visto due motovedette delle Fiamme Gialle attraccate al molo Favaloro, in attesa di un protocollo da Roma. Di una lettera dall’imperatore. 

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Al giovane morto che al sommozzatore sembrava chiedere aiuto a mezzo miglio dall’Isola dei conigli non importa più nemmeno del silenzio degli altri suoi fratelli eritrei e somali cui si presterà maggiore attenzione ora che sono solo spoglie, membra inanimate, cose, di quanto sia stata loro prestata quando erano uomini, bambini, donne, respiro.

A 47 metri di profondità respirano solo i pesci, oppure i cetacei, come i delfini, ma questi uomini imprigionati nel relitto non sono delfini e non respirano più. 

Ora nel fondo del mare di Lampedusa c’è un’assenza. Qualcosa che non appartiene all’esistente. 

Che è come il nostro fare come niente fosse. Come fossimo niente noi. Inesistenti anzitempo. Morti. 

Edoardo Varini

(08/10/2013)

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