La Tobin Tax non basta, senza San Tommaso

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La Tobin Tax non basta, senza San Tommaso

Stavo per scrivere “mi divertono”, ma dal momento che potrebbero contribuire a creare il disastro, scriverò “mi stupiscono” i commenti di coloro che parlano della Tobin Tax in astratto, senza tenere conto delle contingenze e della realtà: «se si applicasse ovunque», «se fosse omogenea», «se fosse universale, cioè se si applicasse su qualunque titolo». Così non è né sarà mai. Per una volta, ragioniamo sulle cose? Così come la prevede la bozza della Legge di stabilità, la Tobin Tax è inapplicabile: l’ha evidenziato pochi giorni fa il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, in un’audizione alla commissione Finanze della Camera. Le sue obiezioni sono incontrovertibili:

1. «Rimanendo ferma la possibilità per i non residenti di effettuare all’estero transazioni su azioni italiane senza essere tenuti al pagamento dell’imposta, permangono rischi di elusione, attraverso la delocalizzazione di importanti comparti dell’industria finanziaria nazionale».

2. «I rischi potrebbero essere amplificati dall’anticipazione della tassazione italiana rispetto alla direttiva Ue con rischi di spiazzamento anche irreversibili, sui mercati».

3. «L’applicazione dell’imposta alle operazioni in derivati, oltre a disincentivare l’assunzione di rischi troppo elevati, renderebbe più costoso anche il controllo del rischio, che nei mercati finanziari si realizza principalmente attraverso l’utilizzo dei derivati di copertura».

Dal ministero dell’economia confermano che la norma verrà modificata, dunque non sarà più che dal 1° gennaio 2013 verrà introdotta un’imposta di bollo dello 0,05% sulle compravendite di azioni e sui derivati nelle quali almeno una delle due controparti sia residente in Italia. Le modifiche più rilevanti, con ogni probabilità, saranno due: la differenziazione dell’aliquota tra derivati e azioni e la modifica della base di calcolo dell’imposta, che non sarà più il valore della transazione, il cosiddetto “valore nozionale” o “nominale”, ma il rendimento netto.

Non è difficile prevederlo. Lo dice il buonsenso. Il valore medio dei contratti azionari scambiati in Borsa Italiana è di 10.000 euro, con un costo di 1 euro. Se tassiamo questi 10.000 euro allo 0,05% abbiamo un costo aggiuntivo di 5 euro. Stiamo parlando di un aumento del 500%: secondo voi i dossier titoli staranno qui o andranno all’estero?

Per i derivati, strumenti a leva (e dunque con un maggior valore nozionale) è anche peggio. Il valore nozionale medio dei contratti è di 100.000 euro e il loro costo è di 3 euro. Lo 0,05% di 100.000 è 50 euro, che si andrebbero a sommare ai 3 euro: un aumento di oltre il 1700%.

Vi pare una cosa sostenibile? Intendiamoci, l’idea di tassare le transazioni finanziarie, se solo si considera che per ogni dollaro di PIL ce ne sono 12,9 di finanza e derivati, dunque di speculazione pura, sovviene quasi naturalmente a chiunque intenda riformare davvero questa catastrofica idea di profitto sregolato e amorale che ci ha portati fin qui.

E che badate, viene da lontano, da molto lontano: ce lo indicò Max Weber a inizio XX sec., con L’etica protestante e lo spirito capitalistico da dove viene. La ricchezza come segno della grazia e la povertà come segno di disgrazia: parte tutto da qui, da questa palese aberrazione. E come ogni aberrazione, non tollera il momento della riflessione, e dunque il capitale va meccanicamente reinvestito, sistematicamente, con quell’agire irriflessivo e condizionato che non è proprio degli uomini, del loro libero arbitrio, bensì degli automi.

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Quando il problema viene da lontano, forse anche la soluzione viene da lì. E la soluzione potrebbe essere il recupero dell’economia tomistica, scolastica, con la rivalutazione della dimensione sociale che si estrinseca e invera, evangelicamente, nell’amore per il prossimo.

Non sono teorie avanzate da un teologo, o da un religioso, ma da un economista, John D. Mueller, direttore dell’ Economics and Ethics Program all’Ethics and Public Policy Center. Nel suo Reediming Economics, Mueller sostiene che il modello economico classico è inservibile perché non considera una delle principali motivazioni comportamentali – dunque anche economiche – dell’essere umano, dell’homo oeconomicus: l’amore. Sembra una divagazione romantica, una poetica illusione, un’utopistica fola, e invece provate a pensare se avete solo e sempre agito per interesse. Provate a considerare se questa affermazione sia o meno vera. 

Ma torniamo alla Tobin Tax. Bene colpire la speculazione finanziaria, ma quella dei pesci grossi, possibilmente. Da come si stanno muovendo, a farne le spese saranno primariamente i piccoli trader, le aziende che utilizzano i derivati per coprirsi dai rischi di cambio ed anche i sottoscrittori di mutui intenzionati a coprirsi dal rischio tasso. I grandi capitali andranno all’estero, e molti in Gran Bretagna, dove questa tassa non verrà introdotta mai, essendo l’industria finanziaria ormai l’unica ormai rimasta nel paese. I capitali verranno trascinati oltreconfine dalla Tobin come gli spilli su tavolo da lavoro di mia zia sarta quando giocavo con la calamita sottostante.

E rimarremo in braghe di tela. Poco adatte all’incipiente inverno. Non certo come i pantaloni in tweed che confezionava mia zia in questa stagione. Tweed Donegal, per la precisione, quello ancora tessuto sui telai di legno. Se lo mantieni, il telaio di legno, non è per praticità o guadagno, ma solo per amore.

Dunque, oltre a pensare a tassare i capitali finanziari, si rifletta anche sulle parole che San Tommaso d’Aquino scrisse nei suoi Opuscula a proposito dell’usura: «dovunque si operi lo scambio dei beni in vista del loro aumento e di una moltiplicazione, già si agisce oltre il fine conveniente, perché dove si intende l’aumento e la moltiplicazione, ivi non può essere il fine conveniente».

Questa frase è una definizione esatta del trading, e tuttavia occorre subito fare un distinguo. Anche se a molti spiace ammetterlo – ve lo assicuro per il mio frequentare l’ambiente ormai da tanti anni – che esiste una speculazione conveniente ed una no. Non è difficile distinguerle. Quella che serve per vivere è conveniente. Quella che nasce dalla fatica e dallo studio e dall’affrontare quotidianamente il rischio è conveniente. Quella dei tanti trader amici miei è conveniente. Quella che è frutto dell’infinita cupidigia dei grandi fondi speculativi che manipolano il mercato non lo è.

Il legislatore cerchi di punire quella. Si cominci, per esempio, ad esentare i conti sotto una certa cifra; si inizi a considerare una cosa sistematicamente negletta: la sostenibilità economica dell’esistenza delle persone. Non credo esista punto di partenza migliore.

A presto. 

Edoardo Varini 

(29/10/2012)

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