L’aggressione antisemita di Milano: l’uomo biondo, il suo coltello, il roveto di kippah che non brucia
Adesso è al Niguarda, Nathan Graff, qurantenne di nazionalità israeliana accoltellato l’altrieri verso le 21.15 all’uscita di una pizzeria kosher in viale San Gimignano, periferia sud ovest di Milano, una delle zone più densamente abitate dalla comunità ebraica.
Poco distante c’è la scuola della comunità israelitica, in via Sally Mayer, ultimo direttore dell’ospedale ebreo di Würzburg, deportato ad Auschwitz nel 1942 e morto nell’ottobre del ’44. Nello stesso luogo.
In una sera di novembre di 71 anni dopo, accade in un viale milanese che un uomo con il passamontagna – pare biondo e con la carnagione chiara, nelle parole dei tre testimoni: una signora che passeggiava con il cane, un amico della vittima ed una bambina – inferisce a Nathan tre coltellate alla schiena, una al volto, due alla gola ed una a un braccio.
Si teme sia un episodio legato al terrorismo islamico, alla cosiddetta “intifada dei coltelli”. Ma dicevamo che l’uomo era biondo, pelle chiara, e parlava italiano. «Ti ammazzo», ha gridato due volte. E questo è italiano. Il che non avendo ascoltato l’accento non significa nulla, magari era un modo soltanto di farsi capire. Anche se le coltellate sarebbero bastate.
Dice Riccardo Pacifici, fino al giugno di quest’anno presidente della Comunità ebraica romana, la più numerosa tra quelle italiane: «Quando è partita l’intifada dei coltelli avevano promesso di colpire gli ebrei in Israele e in ogni parte del mondo e lo hanno fatto. Questa è la più grave aggressione avvenuta in Italia dall’attentato del 1982 alla Sinagoga di Roma».
Subito dopo l’accoltellamento, l’altrieri, un allarme bomba davanti al ristorante kosher in via Sardegna, dove ho cenato sabato, tra chi si era infilato la kippah e chi no. C’è come un alberello di copricapi verdi all’ingresso, che sembrano grossi coleotteri appesi a un arbusto.
Da l’altrieri è un roveto. È una pianta dolorosa. Perché la comunità ebraica italiana, 35.000 persone, ora ha paura.
Ma sappiamo, e lo sanno anche gli accoltellatori – perché anche se sono islamici conoscono Mosè – che quello è un roveto che non brucia.
A presto.
Edoardo Varini
(13/11/2015)