Le mani di legno congiunte e i capelli scuri di Franziska
Con buona pace di noi italiani, la più importante notizia sportiva sopraggiunta ieri dal London Acquatics Centre di Stratford, non è che la “divina” Francesca Pellegrini sia arrivata quinta nei 400 stile libero – il penultimo tempo in qualificazione non era propriamente un bel presagio – e non è nemmeno che la si sia scoperta men che divina. Si sapeva già non fosse lei Anfitrite, perché è bionda, mentre la sposa di Nettuno ha capelli neri.
Anfitrite, halosydne, l’allevata dal mare, chiamata in antichità anche Salacia o Venilia ma mai – che almen io sappia – Federica, è la più sfuggente tra le divinità, perché è il liquore stesso, la materia che si dipana nel mondo allentando la propria interna coesione per aderire alle cose. È la massima forma d’amore.
Omero, colui che secondo Leopardi è «il padre e il perpetuo principe di tutti i poeti del mondo», davanti a lei balbetta come un infante, non sa che additarla, che indicarci dove vive: «là, sul mare aperto, tra i flutti».
Di lei conosciamo che è una nereide, cioè che è figlia del più vetusto dio del mare, Nereo. Come Galatea, dalla pelle bianco latte, che trasmutò il sangue dell’amato Aci in sorgente, e come Teti, la madre di Achille. Quel nero, ricorrente, nei capelli della figlie del mare, nel nome del Dio, quel nero: è l’abisso. Anche in superficie. Un abisso che è l’irraggiungibile luogo in cui ogni immaginazione diventa inconfutabile, per ciò stesso polimorfo, serpentino, vaticinante fiamma tenebrosa. Lo si diceva infatti di Nereo che fosse un vaticinatore. Noi lo diciamo di un’insolita coppia, Angela e Mario, che chiacchiera per telefono il sabato, immaginiamo con molta verecondia e qualche malcelato trasporto. Ma vi torneremo tra poco, dopo una breve nota sulle Olimpiadi.
La notizia più importante di ieri, sportivamente parlando, è stato il nuovo primato del mondo della statunitense Dana Vollmer nei 100 farfalla: 55”98, per la prima volta sotto il muro di 56” (e senza nemmeno il costume gommato!) Ma anche lei ha capelli biondi e dunque non è Anfitrite.
Diceva Ovidio che c’è contrasto tra il pudore e una grande bellezza. Ma poiché il pudore è attributo di ogni femminea divinità, ecco allora che a palesare ai nostri occhi di Atteoni una grande beltà – tipo, faccio per dire, la beltà del vero – non può essere che una turbolenza incessante e acquorea, che cela e disvela, creata da cinematica, dinamica e meccanica dei fluidi. Flusso vorticoso, flusso laminare, flusso turbolento, frequenza angolare delle onde, resistenza di pelle e di peli e tessuti, e poi l’ostacolo, il drag delle volumetrie corporee dell’atleta, che puoi, che devi correggere, ma puoi solo fino a un certo punto…
Ognuna di queste cose per la vincitrice dei 400 stile di ieri, Camille Muffatt, che pare uscita direttamente da Conte de printemps di Rohmer, appariva, e probabilmente era, d’una facilità disarmante. A volte le cose che paiono di più ostica realizzazione riesci poi a inverarle con sovrana sprezzatura.
Capita. Pensate per esempio a cos’è riuscito a fare oggi il Tesoro: piazzare 5,479 miliardi di BTP a 10 e 5 anni con rendimenti sotto il 6%, anche se d’un soffio. Chi ci avrebbe sperato, venerdì? Ma qui, siamo sinceri, lo si conosce l’arcano: il mondo finanziario è stato rassicurato della telefonata di sabato tra Angela e Mario di cui dicevamo, la strana coppia che ormai comunica al mondo circostante – temo senza rendersene più conto – come il capitano della Légion étrangère Jean Danjou, nel fortino di Camerone in Messico. «Siamo pronti a tutto».
E il bello è che questo nemmeno più ci allarma, ci abbiamo fatto, come suol dirsi, il callo. Come fosse normale che le massime cariche istituzionali europee – non solo i due, lo sappiamo – seguitino a ripetere di essere pronte a tutto. E invece non è una frase tanto rassicurante, se ben ci pensate.
Era il 30 aprile 1863. Sessantaquattro legionari su cui contare per respingere 2.000 ribelli messicani agli ordini del colonello Milan. Per dieci ore. E riuscirci. «Non son hombres son demonios!» commentò allibito Milan. La mano di legno del capitano Danjou cade con lui dal tetto quando una fucilata lo raggiunse. Qualche giorno dopo la trovò un contadino.
Oggi è conservata nella caserma di Aubagne, vicino Marsiglia, ed ogni 30 aprile viene portata in processione dal legionario migliore.
Ora, io mai vorrei vedere condotte in processione le mani congiunte di Angela e Mario, ma piuttosto riavvistare al largo del Giglio le flessuose forme di Anfitrite. Mi è accaduto ieri. Confermo, ha i capelli neri, e assomiglia tanto a Franziska van Almsick. Ma questo è perché sono ormai vecchio quasi quanto Omero.
A presto.
Edoardo Varini
(30/07/2012)