L’economia pandemica distrugge la produzione e distrugge i consumi. Ma nel secondo caso i soldi non spesi non scompaiono, ma restano nelle tasche dei loro possessori per divenire altro, investimento azionario, per esempio.
Nel giro del’ultimo anno il titolo Amazon, al Nasdaq, ha fatto un botto del 78,3%, Apple dell’81,63% e Nvidia, leader del visual computing, addirittura del 153%.
I ricchi sono divenuti sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri. Un solo dato riferito all’Italia, ma l’andamento non è stato diverso in tutti i Paesi ad economie avanzata: nel decennio 2007-2018 la ricchezza degli italiani è diminuita, mentre la ricchezza media dei 10 italiani più ricchi è quasi raddoppiata. Nel 2018 il patrimonio dei 21 italiani più ricchi era pari al patrimonio totale del 20% dei connazionali meno agiati.
Fino ad oggi le misure a sostegno dell’economia sono state a carico delle finanze pubbliche ma non è per nulla chiaro chi pagherà il conto finale, un conto che già pareva insaldabile ben prima della pandemia.
Probabilmente è necessaria una fiscalità maggiormente redistributiva, ma certo da sola non può bastare.
Dunque che cosa ha prodotto dal punto di vista economico la crisi pandemica: l’idea del primato degli incentivi pubblici sul mercato, su cui si fonda l’equiulibrio economico sociale dell’austerità. Il messaggio che si fa strada, anche tra gli economisti ortodossi, è che un ritorno alla gestione pubblica sia ineludinbile.
Quello che l’economista Charles Wyplosx chiamò “azzardo morale”, ovverosia l’irresponsabilità sociale di un sistema come per esempio quello statunitense, che esclude dalla copertura medica decine di milioni di persone, non è più né economicamente sostenibile né accettabile.