Lo sguardo tra il lamentevole e l’ammiccante del macaco
Ho sempre pensato che il Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture del governo Renzi, Maurizio Lupi, avesse un cognome sbagliato. Più che un lupo in lui ci vedevo una scimmia, anche per le movenze un poco disarticolate; ma non la bertuccia, come dicono alludendo alla sua somiglianza con la figlia di Fantozzi. No, la bertuccia ha uno sguardo penetrante e un po’ severo. No, il Ministro mi pare più possedere lo sguardo tra il lamentevole e l’ammiccante del macaco.
La nuova inchiesta della Procura di Firenze sulle grandi opere (dai cantieri dell’Expo alla Tav fiorentina, dalla Fiera di Roma al terminal di Olbia, dal completamento dell’autostrada Livorno-Civitavecchia a City Life) sostiene che la torta dei complessivi 25 miliardi di euro sia stata spartita con tangenti del 3% e facendo lievitare i prezzi fino al 40%.
Tra gli eccellenti dei 51 coinvolti, il più eccellente è il settantenne Ercole Incalza, definito in un’intercettazione di un alto dirigente delle Ferrovie: «Il dominus totale», colui che «fa il bello e il cattivo tempo», «senza il quale non si muove foglia».
Questo da trent’anni, al Ministero dei Lavori pubblici. Da far cadere le braccia, le avessimo ancora. Non le avessimo perdute da tempo lungo il piano inclinato del malaffare come manichini dechirichiani nello scorcio di piazze italiane rese metafisiche non dall’onirico ma dal fallimento.
Rese spettrali da questa ciarla continua della ripresa economica in atto – un misero +0,6 tutto domanda esterna, più fragile delle foglie negli enigmatici pomeriggi d’autunno – e che se anche fosse realmente consistente non avrebbe proprio nulla a che spartire con le renziane riforme bensì con fattori quali il calo del petrolio, la svalutazione dell’euro, la diminuzione dei tassi di interesse. La congiuntura non cambia per le chiacchiere di un premier.
Le previsioni del Pil 2015 di Bankitalia e Confindustria ballano di 25 miliardi di euro, lo stesso importo da spartirsi con le grandi opere: un’enormità, la differenza esatta tra il disincanto della ragione e un ottimismo fondato sul vedersi muovere qualcosa all’orizzonte dopo anni di piattume: ma quel qualcosa è poco più di un miraggio. Una manciata di sgravi fiscali per le nuove assunzioni, l’abolizione dell’articolo 18.
Se si pensa con questo di contrapporsi validamente ad un’economia dimentica della produttività, ad una disoccupazione al 13%, ad una domanda interna irrefrenabilmente in contrazione, non si prende un granchio qualunque, si prende il granchio gigante del Giappone.
La disoccupazione giovanile viaggia invece oltre il 40%, ma non vede fortunatamente tra le sue fila il figlio di Lupi, Luca, che lavora per Giuseppe Perotti, per 17 volte nominato direttore di grandi opere, e che vuole assolutamente Luca come direttore di un cantiere Eni su Milano, «perché vale molto».
Il ministro abbozza: «Non ho mai chiesto a nessuno di far lavorare mio figlio». E nessuno ne dubita. Non ce n’era bisogno.
A presto.
Edoardo Varini
(17/03/2015)