Nei giorni scorsi a Torino

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Nei giorni scorsi a Torino

Nei giorni scorsi a Torino, a Genova, a Milano, i poliziotti si sono tolti il casco antisommossa di fronte ai manifestanti. C’è chi dice per solidarietà nei loro confronti, chi per il venir meno dello stato di allerta. Di certo non è stato nell’infuriare dello scontro, di certo è stato senza alcuna opposizione dei funzionari presenti. Di certo c’erano le telecamere e tutto l’interesse da parte del Palazzo a mostrare il volto buono delle forze dell’ordine, che il casco indosseranno domani e dopodomani e dopodomani ancora, ogni volta che arriverà l’ordine di contrastare i manifestanti con la forza.

La cosa più probabile è che si sia trattato di un gesto distensivo, nemmeno così insolito, quando si ha il compito di tranquillizzare una piazza.

Ma i gesti al mercato del potere costano poco. Possiamo averne a bizzeffe. Avremo a breve il poliziotto che brandisce al posto del manganello un’arcimbolderia di fiori. Ma avremo sempre anche l’altro, quello con il PR24 vero che picchia. Magari a telecamere spente. È il loro lavoro, se l’ordine arriva. Li paghiamo anche per questo.

Le Camere tributano l’undicesima fiducia al Governo Letta in poco più di duecento giorni. Ma una fiducia da confermarsi ogni venti giorni che è?

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A Montecitorio 379 sì e 212 no, due astenuti. A Palazzo Madama 173 sì, 127 no. Tra i 127 no quello del leghista Roberto Calderoli, che sfoggia un immaginismo orfico non inferiore a quello di Dino Campana: «Letta durerà quanto un gatto sull’Aurelia.». In termini di borsa parliamo di «rimbalzo del gatto morto». Ma sempre quello è, il sussulto che antecede la più completa stasi.

Il nostro paese questo sussulto – voglio sbagliarmi – temo l’abbia già fatto. Il sussulto non sono i forconi, di cui uno dei leader va già in Jaguar, gli altri alle trasmissioni in prima serata ad épater le bourgeois con l’aria truce. Chi mi legge sa quanto rispetti le loro motivazioni, ma le loro motivazioni negli studi televisivi sono chiacchiera, sono un ossequioso inchino al sistema. Che li vuole lì, sotto i riflettori, come un tempo nel salotto di Madame du Deffand il buon selvaggio.

Il sussulto non sono  «gli obiettivi realizzabili in tempi certi» delle sedici cartelle presentate da Letta alle aule per la fiducia, che nomati senza immaginismo alcuno «Impegno 2014» verranno presentati alla firma in gennaio.

Il premier questo lo definisce «un nuovo inizio», e la ragione s’involve sin da qui, tautologicamente.

Dice: «Mi batterò come un leone» e sbrana i grillini, e i grillini si fanno sbranare. Ma ci sarebbe riuscito un soriano, magari appena dopo il balzo e prima di morire.

Non sarà che il proclamato impegno alla pugna non comprova affatto la bontà di un programma di governo? Bontà che dovrebbe avere al punto primo il grado di attuabilità. Sviluppo economico, tagli, riforme, tutto entro ottobre 2014, perché pare che l’orizzonte temporale del Governo resti quello del suo insediamento, 18 mesi.

Forse perché non ho la fortuna di sentirmi in «trance agonistica» come Enrico allorché tornato da Johannesburg rivolò direttamente alla Camera, forse perché non mi sento in trance alcuna, ma tutto ciò mi pare qualcosa di assai prossimo al velleitarismo futuristico di un Marinetti, il quale però lo sapeva e soprattutto lo diceva di far poesia: l’impeto, lo slancio, il bombardamento, Zang, Tumb, Tumb. Tutto un fardello che fuor dalla lirica pagina è fracasso.

A presto.

Edoardo Varini

(12/12/2013)

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