Il mandato presidenziale di Joe Biden inizierà il 20 gennaio 2021, nel bel mezzo di una pandemia che probabilmente, dal punto di vista economico, deve ancora mostrare il suo lato peggiore.
Malgrado il recupero del terzo trimestre, il Pil resta ad oggi al di sotto del 3,5% rispetto ai livelli ai quali aveva terminato il 2019 e le richieste dei sussidi di disoccupazione viaggiano ancora oltre le 700 mila unità: si pensi che non più tardi del marzo di quest’anno erano 200 mila.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è a 7,9% ma sappiamo tutti che quello reale, compresi gli scoraggiati e le persone con impieghi marginali, è molto superiore.
Degli 11 milioni di statunitensi che hanno perso il posto durante la pandemia, più della metà restano oggi disoccupati. Grandi compagnie stanno operando tagli di personale permanenti: la sola Boeing ha deciso di lasciare a casa undicimila persone.
I settori più colpiti, e conseguentemente più soggetti ai tagli, sono, oltre alle compagnie aeree, i colossi dell’intrattenimento e le catene alberghiere.
Il tema della disoccupazione congiunturale legato alla pandemia si è drammaticamente saldato con un fenomeno di assai più lungo respiro, quello della disoccupazione tecnologica: il nesso tra sviluppo tecnologico e riduzione dei posti di lavoro è divenuto ormai una morsa sempre più pressante le moderne economie, sempre più rischiosa per la stessa tenuta democratica delle società più avanzate.
È probabile che l’elezione di Biden si debba in gran parte al suo dichiarato impegno di estendere la copertura medica a 30 milioni di persone attraverso la prosecuzione dell’Obamacare, e questo è perfettamente in sintonia coi tempi, questa è, o almeno è avvertita come fosse, “the right thing at the right moment”.
Lo stesso dicasi per la volontà del nuovo Presidente di fornire ai “gig workers” le medesime tutele dei lavoratori dipendenti, ma la volontà repubblicana è un’altra ed in Senato la proposta Biden potrebbe non passare.