“Adieu au langage”, e ti si schiude il senso – Omaggio a Jean-Luc

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Adieu au langage, e ti si schiude il senso

Omaggio a Jean-Luc

Adieu au langage, l’ultimo film di Godard, sarà uno dei 18 in concorso alla 67esima edizione del Festival di Cannes, che si terrà dal 14 al 25 maggio prossimi. Quella che ha il manifesto con il viso virato seppia di Mastroianni in 8 e mezzo.

È Godard, non mi interessa quel che dice la critica. Devo vedere le immagini. C’è un trailer su youtube. L’ho visto: è il cinema.

Il cinema non deve descrivere, non deve narrare, non deve emozionare: deve creare. Se è attraverso le immagini che passano dagli occhi che percepiamo il mondo, deve essere attraverso il cinema che ne postuliamo di nuovi. Non ho scritto “immaginiamo”, ho scritto “postuliamo”. “Postulare” significa due cose: «chiedere con insistenza, fare istanza per ottenere» e, filosoficamente, «assumere una proposizione come premessa necessaria di una tesi». Ho scritto “postulare” perché volevo dire le due cose.

Guardate il trailer: nessuno che pronunci una parola sorride. Ma nemmeno è triste. Sta cercando di capire a che serve lo strumento che gli hanno messo in bocca per esprimersi: il linguaggio. Sta cercando di capire se funziona. Il più a suo agio è un cane, che questo problema non lo ha.

«Le due grandi invenzioni: infinito e zero» dice una voce fuori campo. Il linguaggio non è mai infinito e zero. Il grido è infinito e il silenzio è zero.

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Sono le cose che servono al genere umano. Sono le cose che lo rappresentano e che segnano la sua vita e la sua morte. Il resto è chiacchiericcio. Il linguaggio, ogni linguaggio, è chiacchiericcio, una frode. La legge, che è fatta di linguaggio, è una frode. È scritto nero su bianco nell’immagine. E anche «la legge che nega la sua propria violenza imbroglia».

La parola è probabilmente reazionaria. Senza le immagini. Il cinema è la rivoluzione. Perché il cinema è metafora. Anche questo è sovrimpresso alle immagini del trailer, una cosa dopo l’altra: «La specie umana», «La metafora».

«Dice che muore». «Allora lasciatelo morire». Le parole pronunciate da una ragazza sul finale. Vorrei contare quanti capiscono che il morente non è morente, perché dire che si sta per morire è dire niente. E che la ragazza farebbe ogni cosa per salvarlo. Perché la parola è niente.

Vorrei che tutti capissero che questa è alta magia: riconoscere al riguardante il diritto e la capacità, di dare un senso alle cose. Di essere un’eterotopia, per dirla come la disse Michel Foucault in Le parole e le cose, «uno spazio che ha la caratteristica di essere connesso a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che esso stesso designa, riflette o rispecchia». Ne sono esempio lo specchio, il cimitero, il manicomio.

E se avvertiamo la gratuità del linguaggio lo diventiamo anche noi, un’eterotopia. Non so se sia piacevole diventarlo. Ma quando ti accade, se ti accade, è irreversibile. E allora usi eccome ancora le parole, anche meglio di prima, ma nel tuo cuore hai davvero detto addio al linguaggio e sei diventato un gran combinatore. Adieu au langage. E ti si schiude il senso.

A presto.

Edoardo Varini

(18/04/2014)

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