“Pacchia” da pacho, tra i doni e la neve

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“Pacchia” da pacho, tra i doni e la neve

Neve, come sulle copertine natalizie del “New Yorker”, neve buona, neve a fiocchi sui pacchi regalo, neve sulle mani dei padri, delle madri e dei bambini, unite tra i palazzi, i grattacieli e i ponti della vita. Salotti con il camino acceso, anche quelli senza camino e senza fuoco, giochi di plastica e legno e cartone da tenere in mano e prima ancora negli occhi e prima ancora nel cuore.

Silhouette di renne verdi e rosse e giallo chartreuse che fan capolino dalle vetrine addobbate come farfalle ed uccelli e levrieri sul fondo bianco di zinco delle pagine miniate della Bibbia d’Este.  I tronchi degli alberi che cingono il castello sono neri come la notte incipiente, e come niente, perché la città ha da poco acceso le sue luci. Nelle pasticcerie, ma in questi giorni da chiamarsi anche, gozzanianamente, “confetterie”  «signore e signorine le dita senza guanto scelgono la pasta» e le commesse sricciolano nastri con forbici assai meno appuntite dell’isiaco mistero del loro grembiule turchino. Questo il mondo degli inciviliti, di coloro che ogni tanto vagliano il proprio operato alla luce del giusto e del buon gusto.

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Immagino che uno dei quaranta consiglieri di Pdl e Lega indagati per peculato nell’inchiesta sui costi della politica di Regione Lombardia (aspettiamo al varco l’opposizione) si sarebbe fatto rimborsare frolle, e sfoglie e torte e bignè, ed anche il caffè dell’attesa ed anche – risulta dall’inchiesta – il lecca lecca, il gelato e la cena per venti a base di tartufo in quel bel ristorantino nel vicolo accanto alla cattedrale. Un urrà per Davide Boni, capace di spendere a Napoli in soli tre giorni 11.164 euro di cravatte (75), sciarpe in cashmire e foulard di seta. La Minetti che chiede il rimborso di “Mignottocrazia” è il virtuosismo ultimo, quello dell’improvvisazione, quello del «Paganini non ripete» chiunque fosse a chiederlo, perché semplicemente nemmeno l’esecutore avrebbe saputo come.

La “pacchia”, termine dell’etimo dibattuto. O dal latino barbarico pacho, che sta per “porco ingrassato”, oppure da patulum, paclum, pacchio, che vale “riempirsi la pancia”. Del resto, lo scrisse anche Hercule Savinien Cyrano de Bergerac, lo spadaccino vero: «Sapete, figliolo, che dalla terra si fa un albero, da un albero un porco, da un porco un uomo». Propenderei per l’ipotesi etimologica prima.

A presto. 

Edoardo Varini

(15/12/2012)

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