Sembrano dire «Auguri!»
Fivizzano, provincia di Massa, Lunigiana, terra che se ci arrivi in autostrada da Genova ti saluta da un cartellone con il faccione di una statua stele dell’eneolitico dagli occhi di pastiglia, terra che se ci arrivavi oggi verso la mezza ti salutava con un terremoto di magnitudo 5.2 della scala Richter.
Se vai a leggerti ciò che quel 5.2 significa è che «Lo sentono tutti», come il terremoto sulle Borse di ieri dopo le parole di Bernanke circa la riduzione degli stimoli monetari, il quantitative easing, entro la fine dell’anno.
Picchiate di tre punti percentuali e botto dei Tbond decennali e del dollaro: se la Fed smette di comprare i rendimenti salgono, matematica pura. Se l’euro cala, del resto, è solo un bene: più export, vale a dire finalmente crescita e l’apprezzamento del dollaro non si fermerà certo qui.
Dice Ben di non avere frenato ma soltanto sollevato un poco il piede dall’acceleratore perché la velocità (i dati macro) era già buona. Sarà, ma se sarà, sarà in America. In Europa i dati macro non sono buoni affatto e le banche una volta che non potranno più indebitarsi a tassi prossimi allo zero e acquistare titoli di Stato che pesci piglieranno? Sapranno reggersi sui loro piedi d’argilla?
È notizia di ieri che agli istituti inglesi per essere messi in sicurezza servono 27 miliardi di euro, almeno secondo i requisiti di Basilea III, quelli adottati dall’autorità regolatoria del sistema creditizio britannico.
In molti pensano che anche questa volta la ripresa americana trascinerà con sé la ripresa dell’economia europea ma probabilmente non sarà così. La domanda americana non potrà assorbire merci all’infinito e la capacità produttiva da questa parte dell’Atlantico e grandemente calata. In termini di scala Richter potremmo parlare di magnitudo 7.9: «Panico, solo alcune costruzioni rimangono illese, morti e feriti».
Le steli antropomorfe della Lunigiana ci guardano imperturbabili da millenni. I sette savi di Melotti che ho visto oggi al Terminal 1 di Malpensa da molto meno. Ma sembrano dire la stessa cosa: «Auguri!».
A presto.
Edoardo Varini
(21/06/2013)