Su due defunti petali di rosa. L’altro è lo Stato
La minaccia di morte e la morte non dovrebbero figurare nel novero degli strumenti produttivi. Non li si dovrebbe impiegare per far quattrini. Se lo si fa si è malavitosi. Per tal ragione chi rispetta un clan malavitoso non ha il mio rispetto. Stavo per scrivere: «Non è degno del mio rispetto», ma non è questo. Pensarmi superiore a qualcuno mi farebbe sentire inferiore.
La Questura romana sapeva tutto, e ha consentito. Che fosse uno sfarzo regale a incorniciare la cerimonia funebre di Vittorio Casamonica, il “Padrino della capitale”, il mammasantissima di un’organizzazione criminale con un patrimonio di oltre 90 milioni di euro e mille affiliati. La più pericolosa del Lazio.
La salma, dapprima incarrozzata alla maniera grande, tra bassorilievi dorati e pennacchi e pariglie e drappi neri, è stata dipoi trasferita in Rolls Royce al camposanto.
Vittorio nei manifesti è assimilato al Papa, biancovestito, una croce pendente. Ma di più, è assimilato a un Cristo trionfante sopra un Cupolone circonfuso d’azzurro e sovrastante un Colosseo che è avvampato di dentro come l’Inferno degli angeli ribelli del Beccafumi in Siena.
Ventitré ville con piscina e una pista da trotto e macchinoni e bizzeffe di lussi serviti su un letto di usura, racket e traffico di stupefacenti. E il grido «Hai conquistato Roma, ora conquisterai il Paradiso», che in effetti per via di indulgenza si conquistava così. Absolvas a culpa et a poena.
Nulla di nuovo, probabilmente. Sotto la cupola in costruzione nel pasoliniano Mamma Roma, che a me ricorda bei tempi e il corso di cinema nell’Aula magna sotterranea dell’Ateneo pavese. È la cupola di San Giovanni Bosco, al Tuscolano, che ha visto ieri petali di rosa piovere da un elicottero ad onorare due defunti. L’altro è lo Stato.
A presto.
Edoardo Varini
(21/08/2015)