Sul fondo tre cose: l’Indice Markit, il senso di tutto ed i barbi

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Sul fondo tre cose: l’indice Markit, il senso di tutto ed i barbi

Se cerchi un indice affidabile sul futuro andamento dell’economia, guarda l’indice Markit PMI, che misura non le opinioni ma i dati forniti all’Istituto eponimo dai responsabili degli acquisti di tutto il mondo. Fatti, non parole, sì come la pubblicità della REX di quand’ero bambino, fine anni Settanta, da poco abbandonata la splendida ma un po’ troppo decò cartella gialla dai profili neri per un anonimo zaino paramilitare.

L’indice Markit PMI è il frutto di elaborazioni matematiche condotte su variabili come produzione, ordini, livelli di magazzino, occupazione, prezzi nei principali settori: dal manifatturiero all’edilizio, dal retail al terziario.

Purtroppo o per fortuna, essendo cosifatto, questo indice non sbaglia. Se dice, come ha detto oggi, che la Germania ha di fronte una contrazione del manifatturiero, è proprio così.

Il capo economista del Markit, Chris Williamson, riassume: «Le aziende faticano a ottenere nuovi contratti sia domestici che dall’estero a causa del clima di incertezza economica e per questo si assottigliano le speranze di una significativa ripresa dell’attività manifatturiera verso la fine dell’anno».

Ora, possiamo commentare la notizia nei più diversi modi, ma non certo dicendo che è una sorpresa. E allora perché non si è corsi ai ripari? Perché la politica tedesca dell’austerity, a testa bassa?

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Ho smesso da tempo di credere che i fatti economici siano guidati dalla solo economia. Occorrerebbe forse un idealismo storico da contrappore al materialismo storico, una sorta di Schelling vagliato alla luce della psicologia comportamentale, sbozzato con il cognitivismo e rifinito con le neuroscienze.

Fatto sta che il supposto homo oeconomicus della teoria economica classica non è mai esistito. Siamo rimasti scimmie – perdonatemi la volgarità ma è nelle cose – e per di più accecate, a differenza delle nostre progenitrici, da quella smisurata vanagloria che ci fa pensare che la supremazia intellettuale sul mondo conosciuto sia una sorta di kantiana cosa in sé, e non semplicemente il frutto dell’esiguità della nostra capacità di osservazione.

Un da noi non ancora abbastanza noto autore tedesco, Georg Büchner, romantico in tutto compreso il premorir ventiquattrenne, scorse straordinari mondi nel sistema nervoso dei barbi, che ancora sguazzano nelle anse un poco più appartate del mio Ticino. Tutto insomma dipende dalla profondità di sguardo: romanticamente ancora, goethianamente, per la precisione, diremo che: «La bellezza è negli occhi di chi guarda».

E così pure la bruttezza, probabilmente, e certamente il sospetto. Dunque può darsi che sia un mio difetto di vista o di morale o di intelletto a farmi scorgere nel rigorismo economico teutonico dell’ultimo volgere d’anni una prevalente volontà di potenza, la famigerata prima ancora che nietzschiana Wille zur Macht: però che altro pensare a fronte di un creditore del tutto indifferente al concedere al debitore il tempo e il modo necessario a sdebitarsi, se non che tiene alla tua libertà più che ai tuoi soldi?

Ebbe a dire l’assai poco merkeliano Novalis: «Tutto il visibile poggia su un fondo invisibile, ciò che si conosce su un fondo inconoscibile, ciò che è tangibile su un fondo intangibile».

Ecco, in questo articolo ho ardito parlare di quel fondo. Dove si nutrono, immaginiamo placidamente, i barbi.

A presto. 

Edoardo Varini

(1/12/2014)

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