Il rapporto tra copista e manoscritto – Quinta puntata

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Il rapporto tra copista e manoscritto. Primo ambito di incertezza

Il secondo livello dell’incertezza investe il rapporto tra il copista e il manoscritto che egli deve copiare. Riguardo al primo ambito – su ciò che un copista dice vi sia – un copista di professione (pensiamo al classico amanuense del monastero medievale) tendenzialmente non si pone, o non si dovrebbe porre, il problema su ciò che vi è, ovvero sul manoscritto che ha dinnanzi, giacché la sua professione consiste semplicemente nel mero atto della copiatura. O meglio: occorrerebbe indagare questo campo, poco battuto dagli studi paleografici.

Al contrario, il problema riguardo a ciò che vi è andrebbe a investire senza dubbio il copista dotto, anche e soprattutto in caso di una lacuna del manoscritto.  È in questo caso che il copista, constatata l’incertezza dell’operazione, risponde altrettanto incertamente con la congettura, e, quindi, con l’innovazione. Gli esempi in questo caso potrebbero essere migliaia; ne ricordiamo solo uno molto particolare a proposito del codice Ashburnham 1014 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze contenente l’Africa di Francesco Petrarca.

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In questo antico manoscritto, infatti, si è «sedimentato l’impegno ecdotico e critico» del grammatico trecentesco Pietro di Parma, il quale, in maniera autonoma, appronta al codice «sue correzioni di guasti testuali, veri o presunti». «Era un sentimenti filologico – spiega Michele Feo – cui mancava il senso della tradizione, che reagiva come per horror vacui davanti ad un’opera imperfetta, che si lasciava trascinare quasi da spirito di aemulatio più che dall’istinto di conservare il testo».

Proprio questo “sentimento” ha contribuito ad accrescere il margine di incertezza che ogni editore sperimenta nella collazione dei testimoni. Pietro di Parma fu non solo «copista per passione», ma anche, potremmo aggiungere, copista di “emulazione”; emulazione che, almeno oggi, non fa rima con scientificità. È proprio questa componente che potremmo chiamare “sedimentazione della soggettività” che l’editore deve emendare; o, in altre parole, eliminare l’incertezza assoluta per tendere ad una certezza quantomeno relativa. Ecco dunque rapidamente spiegata l’incertezza su ciò che vi è nel rapporto tra copista (dotto o, forzando l’espressione poc’anzi citata di Vittore Branca, “per passione”) e testo manoscritto.

Lorenzo Dell’Oso

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