Sull’idea di Incertezza nella critica testuale – Prima puntata

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Sull’idea di Incertezza nella critica testuale

Rieccoci qua. Ma questa volta non proseguiamo l’arco cronologico che con il lavoro sulla porta nella letteratura latina abbiamo inaugurato. Adesso torniamo al nocciolo della questione, al titolo stesso della nostra rubrica: “Filologia del mondo nuovo”. Prima, però, di tornarci insieme, tornaci da solo tu, lettore, se non sai cosa è filologia. Vai dove ti pare, su Wikipedia, sui siti scientifici, leggi qualche manualetto generale che trovi alla Feltrinelli per pochi euro… torna quando ne saprai qualcosa, anche un minimo, per poi cominciare la lettura di queste nuove puntate: senza questo minimo sarebbe inutile dialogare con te. Ok?

Come dici…? Ci sei? Sei pronto? Sicuro? Bene. Se è così, cominciamo.

Prima puntata

Quando si genera incertezza, si richiede una domanda di teoria. Questo enunciato, in estrema sintesi, è il punto di partenza della riflessione che Salvatore Veca, in ambito filosofico, compie intorno all’idea di Incertezza; enunciato che è messo alla prova in tre specifici ambiti: su ciò che vi è, su ciò che vale e su chi noi siamo. Scopo del nostro lavoro, oltre a osservare come questi parametri possano applicarsi alla critica del testo – intesa in assenza di autografo  è: in un primo livello, individuare i campi d’incertezza nelle operazioni critico-testuali, isolarli, e riconoscerli come tali; in un secondo livello, porre domande di teoria ai campi di incertezza segnalati, e tendere quindi a risposte di certezza (che non potrà mai essere assoluta).

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I tre ambiti di incertezza cui seguono rispettive domande di teoria (su ciò che vi è, su ciò che vale, su chi noi siamo), se applicati alla critica testuale, investirebbero due differenti livelli: il rapporto tra l’editore e il manoscritto (e, quindi, la tradizione del testo), e quello tra il copista e il testo che lui stesso deve trascrivere. Nel primo livello i tre ambiti dell’incertezza individuati da Veca potrebbero essere posti nei seguenti termini: su quali e quanti manoscritti di un certo testo esistano; su quali manoscritti e scelte testuali – come la scelta della lezione “corretta” in caso di varianti adiafore – abbiano importanza (quindi “valgano”) in vista dell’allestimento del testo critico; su chi il filologo sia (quale sia la sua formazione culturale, quale la sua preparazione, quali le sue competenze). Nel secondo livello l’incertezza si manifesterebbe nei seguenti ambiti: su cosa effettivamente è il manoscritto che il copista si trova davanti (da dove proviene, chi l’ha prodotto, chi l’ha distribuito ecc.); su ciò che il manoscritto “vale” per il copista (potrebbe trattarsi di un testo sacro, e l’operazione stessa rivestirebbe quindi un ruolo sacrale; viceversa si potrebbe trattare di un lavoro commissionato da terzi ecc.); su chi il copista sia (la sua formazione, le sue competenze ecc.).

Dopo aver enunciato gli ambiti di questa incertezza, applicheremo le domande di teoria a un testo celebre, la canzonetta Meravigliosamente di Giacomo da Lentini. Una volta ottenute proposte di risposta, tireremo le conclusioni della nostra riflessione.

Lorenzo Dell’Oso

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