Ultima puntata. Un “Rinascimento del XII secolo”? Conclusioni
Ecco giunti al termine, lettore, e per la seconda volta. “Tireremo le fila”, dicevo nella puntata scorsa. Bah…non credo nella scientificità della letteratura. Non credo nelle soluzioni e nei procedimenti matematici per giungere a una certa verità. Parzialmente. Perché io non cerco “una” verità. Io cerco la Verità. E voglio esserne ricercatore, anche nei miei scritti. Quindi, anche in questo caso: non slacciarti le cinture di sicurezza prima che l’aeroplano abbia terminato le manovre di parcheggio, perché il bello arriva proprio adesso. A presto quindi. Io esco di scena adesso, perché voglio che siano altre personalità a darvi il saluto, che siano altri Atteoni. Sicuramente, non io. Non ne sarei degno. Forse.
Dai lavori condotti da Charles H. Haskins in avanti, numerosi studiosi hanno parlato di un “Rinascimento del XII secolo”. Tale asserzione troverebbe la propria giustificazione nel fatto che «il romanzo medievale, accanto alle favolose storie arturiane, sarebbe nato sotto il segno dell’antichità classica, della sua riscoperta, della sua imitazione, del suo fascino».
Nonostante l’indubbia capacità attrattiva, la critica dibatte ancora molto sulla veridicità di un’ipotesi del genere. Per quanto concerne il ruolo dell’intellettuale, è facilmente percepibile nei testi esaminati come, dalla prima metà del XII secolo, sia avvenuta una metamorfosi della figura dell’intellettuale. Occorre una precisazione. Non muta la sua condizione “professionale”. L’intellettuale di questi secoli raramente non è un chierico, o un uomo comunque legato ad ambienti religiosi. Chierico era Benoît de Sainte–Maure. Chierico, probabilmente, fu anche Chrétien de Troyes, portatore e continuatore, nei suoi romanzi, di quelle qualità che abbiamo avuto modo di scorgere in germe in questa sede. Un’ulteriore precisazione. Non era nostra intenzione costruire un processo di “evoluzione” o “disvelamento” delle peculiarità del “nuovo” intellettuale, anzi. Ciò che abbiamo voluto mettere in luce è consistito nell’aver mostrato le scelte che quattro autori della letteratura francese medievale hanno compiuto; averle descritte, spiegate, messe in relazione a nessi “antropologici” di indubbia rilevanza. A conclusione del nostro rapido excursus mostriamo come emerga la morfologia dell’intellettuale dalla lettura dai testi proposti:
Roman d’Alexandre |
Roman de Thèbes |
Roman de Troie |
Lais |
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Valore pedagogico del mondo classico |
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Ruolo di traghettatore di conoscenza |
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Consapevolezza di sé |
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La fama e il ricordo |
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Dovere ed esigenza della diffusione |
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La selezione del destinatario |
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Consapevolezza della mise en roman |
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Valenza morale dell’opera letteraria |
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Osservando i prospetti riassuntivi offerti dalla tabella, ci si accorge di alcuni dati interessanti. I quattro intellettuali, autori dei quattro testi esaminati (Alberico, l’autore del Roman de Thèbes, Benoît e Maria di Francia), si mostrano tutti accomunati da tre specifiche caratteristiche: la consapevolezza di sé, l’esigenza della diffusione del messaggio di cui si fanno portatori, e la coscienza del proprio ruolo di “traghettatori” di conoscenza.
Già questi soli tre elementi pongono l’intellettuale del XII secolo in una posizione di assoluto protagonismo. E lo collocano in un ruolo di responsabilità non solo nei suoi stessi confronti, ma anche e soprattutto nei confronti del pubblico al quale le sue opere sono destinate. In Benoît la consapevolezza di sé si accompagna alla rilevanza della trasposizione linguistica in roman. E, se un’esigenza “pagana” di diffusione accomuna i primi tre autori, non si può sostenere lo stesso per Maria di Francia; la quale, rispetto ai predecessori, rileva e sottolinea il valore fortemente morale della letteratura, collegandolo all’esigenza stavolta “sacrale” di diffusione dell’opera letteraria stessa: l’innalzamento dell’impegno dell’autore profuso nel suo lavoro sposa, perciò, la “gravità” dell’argomento prescelto. E se nei Lais il valore pedagogico del mondo classico, secondo la nostra analisi, risulta essere assente, è solo perché l’autrice esprime la scelta di differenziarsi dai predecessori, non trattando materie classiche, bensì «Des lais pensai, k’oïz aveie. / Ne dutai pas, bien le saveie, /Ke pur emambreance les firent /Des aventures k’il orient».
La valorizzazione di tutte le potenzialità umane viene posta, pertanto, alla base della dignità dell’individuo. Solo la consapevolezza di sé, la coscienza del proprio valore, la valenza morale del proprio messaggio permetteranno finalmente all’intellettuale del XII secolo di aprire la strada che porterà, secoli dopo, alla nascita dell’uomo definitivamente “pervenuto a se stesso”: l’uomo moderno.
Con affetto,
Lorenzo Dell’Oso