I quattro angoli del mondo

Ricominciamo tutto da capo, azzeriamo la scala che ascende che trasporta ai confini

e riportiamoci nell’angolo

perché una per una le stelle si spengono le luci verdi s’eclissano quelle piccole luci verdi

e in modo grossolano ci sfugge

completamente

e a singhiozzo

maledettamente silenziose e poi frastuono e ancora silenzio

e di nuovo e di nuovo

Ritrovo nei piccoli spazi

quelle immagini disegnate che ho visto dalle colline ed era forse dieci anni fa

e non c’è inquietudine scritta che possa risvegliare quella sonnolenza che ha messo a dormire una parte così lunga della mia vita

non c’è messaggio facilmente consegnato che possa redistribuire i pesi

alleggerire

semplificare

Ci sono intermittenze, sbalzi di tensione, segnali interrotti

questo sì

ma è la vita

e fili tesi talmente sottili

verso di me

che soltanto un giorno dopo l’altro, nella carne, nel sangue, negli occhi possono giustificare l’attesa

la ragione dell’attesa

che alla fine

come puoi vedere, povero illuso,

non è che aria e vaniloquio

E lei povera che dondolava appesa al cappio

il figlio poco lontano

le bombe e l’odio tutt’intorno

ma non si era risparmiata

e aveva goduto, questo sì

aveva aperto varchi in un mondo pesante

non aveva avuto rispetto dei sentimenti

che non fossero i suoi.

Così è la teoria di vite tracciate nell’argilla

così funziona la macchina che dà vita agli uomini, che attraversa il deserto senza ruote

che vede città in lontananza

costruite con mattoni crudi

e per questo destinate alla cancellazione dalla prime piogge torrenziali

per quanto più volte ricostruite

Ecco, è dentro, le porte erano aperte

o forse qualcuno l’aveva previsto e si è preparato all’evento

conoscendone la cieca origine

Vestito di tunica

bianca, forse

ascoltava closer to the hearth ignorando i terribili segnali il clangore dei ferri

e ringraziava

gli occhi chiusi

bevendo piccole gocce di vita e verità

ma piccole

come poca acqua

quando l’oasi è a chilometri

quando l’oggetto del desiderio

è a chilometri

manco fosse l’aleph

che appunto non è nulla di ciò che desideri.

Legami. Ci sono legami tra le persone e legami tra le parole scritte. Non so dire quali siano più forti. Chi legge una poesia quasi mai lo fa per trovare il reale animo del poeta in fondo al pozzo, è per lo più una ricerca di sé in frasi che il lettore avrebbe potuto scrivere, pensare, vivere. Le parole si leggono, le persone si vivono in tutta la loro corposa, movimentata significante materialità. I vertici del triangolo poetico – nell’ultima casella accanto all’individuo e alle poesia da cui attinge poniamo anche gli eventi che lo suggestionano – possono essere legati a due a due a formare coppie creative. Ma non lo sono tutte in egual maniera. È forte il legame persona-persona? Certo, è il più forte e per questo, coinvolgendo non solo tutti e cinque i sensi ma anche percezioni più profonde, è il più incredibilmente dotato di potenziale poetico. È forte il legame  persona-parola scritta? Lo è, in misura leggermente minore perché non coglie tutti i sensi o almeno non li coglie come all’interno del rapporto umano. Leggere (poesia) è fonte d’ispirazione, di sensazioni, di emotività ma non può generare le correnti energetiche che si instaurano in un rapporto fisico. È forte, ancora, il legame persona-evento, sempre inteso a livello di fonte di energia creativa? Forte, in quanto rappresenta il caso generale del legame persona-parola scritta. L’impatto con ciò che si legge e che tocca tanto profondamente da non poter non inserirlo nel proprio bagaglio creativo è un momento isolato, specifico, puntiforme, aguzzo, quanto un evento che interseca la vita interiore con quella quotidiana. Evento è dunque l’attimo di questa intersezione.

Vivere, incontrarsi, leggere. E infine trasformare tutto questo in necessaria parola scritta. È tutto qui.

Pound incontra Eliot, legge Eliot, e viceversa. Pound ed Eliot incontrano e leggono Yeats. E viceversa. Cvetaeva legge Puskin, Maijakovski, Rilke… Persone, parole scritte, eventi. Quali tra questi fattori ha inciso di più sulla produzione poetica, ma soprattutto sull’energia creativa di questi poeti, scelti a caso nel mazzo?

Il caso della Cvetaeva è emblematico, per la passione e l’indomabile furia creatrice – ma infine fortemente distruttiva – della donna prima ancora che della poetessa. Fuori dal suo tempo, lanciata come un satellite impazzito attraverso l’Europa, attraverso i generi, le classi, le culture, tra le mille vicissitudini sopravvive alla morte per fame di una figlia, per diventare appunto colei che “dondolava appesa al cappio”, suicida. Un lampo, come altri, che ha versato eventi e persone su carta, diventando per questo immortale.

Una sorte condivisa da tanti altri, che porta a una considerazione più freudiana che letteraria, a un passo oltre il triangolo poetico. Questo infatti non è, a sua volta, che la mera carta su cui il poeta incide i suoi versi e la sua necessità ineluttabile di comunicare. Ed è, eccoci, ed è l’impossibilità di comunicare, a livello profondo, interiore. Un’impossibilità che è solitudine, la solitudine dell’artista, che ha tuttavia il bisogno di superare la sua propria barriera e di “dire” a un suo pubblico immaginario chi è, nel suo proprio modo, nel suo proprio tempo, senza giustificarsi, senza scusarsi, senza mentire. Vomitare fuori sé, in conati che altri possono riconoscere come arte.

L’impossibilità di comunicare, quindi, è la bacchetta del triangolo, metaforicamente inteso come strumento musicale, che sola è in grado di farlo risuonare.

Andrea Fiorini

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