Torre


Aggiungo qualcosa

nessuno scavo

scene gridate forti accompagnano certi errori

e terra colorata è stato un viaggio lungo

e non solo

abbracci tanto desiderati

mi hanno stretto e portato fin qui

vicino a questo freddo

e ti sento cantare  sento la tua voce

ora densa

ora sottile

affievolirsi

Ci dev’essere una macchina capace

di riprodurre tutto questo

questi lampi di luce

questi bui

che spieghi questi movimenti nel vuoto

in attesa di finire Withman

e di ricostruire un castello

dalla fondamenta

di dare vita a un’imperitura costruzione

che per sempre e del tutto ricordi

lo sforzo compiuto d’esistere

Voci si rincorrono si rincorrono si rincorrono

interruttori ghiacciati

le spengono

ora

così

echi che durano anni e anni

Una sedia al centro della stanza

un uomo di spalle

nessun elemento per capire

nessun desiderio di superare il semplice sguardo

strappare la giacca da quelle spalle anonime

una camicia bianca

una cravatta normale

cintura pantaloni capelli corti

scarpe di cuoio

Hai capito, adesso, hai capito chi è?

Se guardi la stanza

se guardi

vedrai che non ognuno ha la sua musica, la sua storia, il suo fardello

e l’uomo con le scarpe di cuoio

ha la sua

del tutto sconosciuta

del tutto ignorata.

Avrei potuto morire

ma sono sopravvissuto

e adesso nuovi mattoni impasto

Ma adesso sono quasi sulla cima della torre del Donegal

sono padrone dei linguaggi

sono nelle aule del Tribunale

scrivo romanzi e scrivo

domino aule di banchi e lavagne

non sono capace di morire ma sono rinato

mille volte e mille

e ancora vedo passare sotto i miei occhi

ciò che non esiste

e righe di note sottili.

***

L’ho guardata negli occhi senza vederla, coi miei begli occhi sinceri d’acqua chiara.

Guardavo lontano, come se stessi ancora cantando, muovevo la testa ritmicamente e mi raccontavo delle cose, in silenzio e sorridevo, perché è quello che ho dentro che mi sorride.

Felice, ma felice per la malinconia che m’avvolge nelle sue onde leggere.

Sono io, la musica mi circonda e mi penetra, la sento, sento forte le sue spirali.

Si, l’ho guardata negli occhi, quando è entrata. Noi siamo soli, sai, siamo come… non trovo bene le parole… ecco, siamo come fontane, dispensatori immobili.

Ahhh, certo, l’azzurro è come una nuvoletta, l’azzurro che vedi, cioè che non vedi ma che c’è. Vedo l’azzurro che c’è, lo catturo, lo spalmo sulle cose, così che tu lo possa vedere. Non sono cose mie, è quello che c’è. Non so se capisci.

Aveva un ritmo curioso.

Qui non c’è molta luce. Si fermò sulla soglia. Una figurina segreta, sottile. Ma le sue spalle mi dicevano la sua determinazione.

Non avevo l’avevo mai vista prima, se è questo che vuoi sapere.

È stato bello, piacevole.

È sempre bello e piacevole, quando si prende qualcuno di nuovo. Ma questa volta lei era venuta da sola. Il suo nome sembrava una nota musicale, secca, squillante. L’eco rimbalzò molte volte quando la suonò per me. Non mi vedeva bene, certo, da dov’era non avrebbe potuto. È proprio per quello che io sono qui. Devo vedere ma non mi si deve vedere bene, altrimenti scopri che io non sono tu, non sono quello che vorresti. Non so se capisci.

Non aveva paura, questo si vedeva. Fece qualche passo verso di me, lasciando le sue impronte sulla sabbia.

Avresti dovuto vederla, che carina, dolce, il suo viso sorpreso ma duro, la sua forza… non mi chiese chi fossi, né cosa facessi lì.

Chi siamo noi. Questo mi chiese.

Non so perché pensasse che io conoscessi la risposta, cioè una parte della risposta, però ne era sicura. Non aveva attraversato il deserto per fare quattro chiacchiere sul tempo, era evidente.

Non ci eravamo detti niente, ma tutto sembrava così chiaro…

Siediti sulla sabbia, le dissi.

Quanto hai pensato a questo, le domandai io, quanto ci hai pensato, eh, quanto per venire fino qui?

Non sai che non si esce da Rezlaléi? Perché sei uscita?

Si sedette sulla sabbia, sotto la volta di roccia.

I suoi occhi scuri erano fissi nei miei, buchi neri imperscrutabili. C’era davvero tanto dietro quegli occhi.

Capii subito quello che cercava, lo sentii. Percepii il lavorio interno della sua mente, le lunghe notti passate a pensare, lo sguardo fisso nel niente, nel lontano, alla ricerca di una risposta.

Sei uscita. Di notte. Da sola. Perché?

Si accarezzò un ginocchio lasciato scoperto dal vestito leggero. Alzò il viso deciso e fu un torrente agitato, una massa di capelli scossi dal vento. La mia musica, il mio suono lentamente l’avvolgeva.

È successo qualcosa. Sta succedendo qualcosa. In me, intorno a me.

Più faccio domande e la mia testa gira, più mi sento diversa. Ma cos’è? Tu sai cos’è?

La domanda delle domande. Cosa potevo risponderle? Noi tutti eravamo alla ricerca di quella risposta, ma molte cose le avevamo intuite.

Ci sono cose che dobbiamo fare, ci sono cose che dobbiamo sapere.

In quel momento fui certo che intuì qualcosa di fondamentale. La consapevolezza aveva aperto un varco dentro di lei. Io non ero più davanti ai suoi occhi. Non ebbi il coraggio di chiederle cosa vedesse. E restai lì, solo, per il momento, con la mia faccia e la mia musica.

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