Dovremmo forse riconsiderare molti e molteplici aspetti…
Filosoficamente tanti – sicuramente troppi – tuttavia i tempi sono cambiati, nonostante i tempi non cambino mai.
Assiomatico, ma non il consueto topòs che s’aggrappa e aggroviglia su stesso, il luogo comune epigone di se stesso in soggiacente tautologia, ma soltanto una straripante – quasi strafottente – verità.
I tempi… sì, i tempi!
Cambiati, mutati, almeno nella scansione, nell’accelerazione sul tempo, persino da suscitar dispetto e invidia ad Albert Einstein!
E se allora, un secolo fa, qualcuno si armava di fagotto e valigia e partiva per l’America (Mamma mia, dammi 5 cent che in America voglio andare!), ci pensiamo a quanto buffa e goffa sembrerebbe oggi una tal avventura?
Oggi quel qualcuno, sulle allora Colonne d’Ercole (o Stretto di Gibilterra, per il comune pensare), segnalerebbe già a tutto il mondo, “twittandolo”, l’arrivo di una pur timida onda più grande o di un refolo di vento più maligno.
Poi, sulle Canarie, posterebbe una foto stile “Caricamenti dal Cellulare – L’oasi nell’oceano e il vento caldo dell’estate” e infine, stremato (ma neppure troppo!) all’arrivo, l’immancabile post “Ora mi trovo qui – Tra Ellis Island e Liberty State Park”.
Ma siamo certi che sia davvero da cogliere per “libertà” e non per “schiavitù”?
Allora si scappava persino, cercando di rifugiarsi, nascondersi e rinascere una seconda volta, con negli occhi l’America e, quando si voleva o poteva, ci si metteva di buona lena con carta, penna e tremula mano (o presa a prestito dallo scriba sacrificale di turno) a scrivere sul come si stava, magari barando anche un poco, intanto nessuno avrebbe potuto constatare reale stato, condizione o qualsivoglia malattia e valetudinari-età!
Oggi, un infittirsi di miliardi di e-mail, forward, auto-reply, no-reply, ci renderebbe invece persino edotti o vittime spiate di eventuali operazioni e maneggi “cornificatori”.
A questo punto, è ovvio: Ellis Island non esiste più e non esisterà mai più!
Già nel 2009, scrissi un pezzo e lo intitolai “L’oasi e il deserto”, a proposito di una “Nuova Ellis Island” (le nostre coste ioniche e sud-tirreniche), ma ora domando, sprezzante con me stesso:
«Ma è davvero vero e così?»
No, l’Atlantico non esiste più!
Titanic e Virginian andrebbero subitaneamente deserti e disarmati.
Al più trasporterebbero scheletri e carcasse di speranze e ricordi!
È la crisi a viaggiare veloce e furente – quasi alla Fast and Furious – su quest’Oceano, tra i suoi estremi lembi e poi entro il Mediterraneo, fino alla Itaca di Penelope.
E, nel viaggiare, questa crisi isterica, che non è crasi ma necrosi del terzo millennio, si trasforma, si sveste e si traveste a mo’ di giullare circense, si addormenta e si ridesta, sparisce e riappare, cosicché le case squassate dall’uragano Sub-prime (sperando non sia femmina!) ritrovano di colpo tetto e giardinetto, rimbalzando in un vorticoso precipizio, dalle case di rating USA, ai gabinetti dell’Europa.
Intanto Penolepe tesse, cuce e disfa la sua tela.
Un canto si leva dal mare.
Le Sirene… è il solito canto del mare, dell’Oceano, ogni Oceano ha il suo mare.
Ogni uomo la sua Penelope e… ogni crisi il suo Ulisse.
Polifemo invece è morto, suonando sul Virginian con Danny Boodman T.D. Lemon Novecento.
È morto perché limoni e pecore sul Virginian non viaggiano più!
E Ulisse allora non più nessuno ha da uccidere, se non se stesso!
Valerio Peracchi
(9/1/2012