Gli stravolgimenti politici del rinascimento avevano alla fine costretto Niccolò Machiavelli, trascorso anche un periodo in carcere, a ritirarsi nel suo podere in Val di Pesa, tra Firenze e San Casciano. Qui, prima di dedicarsi alla sua opera omnia, Il Principe, così scriveva, intorno al mese di luglio del 1513, nel suo Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio:
«Il popolo molte volte desidera la rovina sua ingannato da una falsa specie di bene; e come le grandi speranze e gagliarde promesse facilmente lo muovono.»
Benché il politico e filosofo fiorentino non sia il protagonista della nostra storia, è proprio dal suo pensiero che derivano gli scritti e le idee di Giovanni Botero. Filosofo anch’esso e autore del trattato Della Ragion di Stato, come il suo predecessore considera lo stato come entità organizzata che esercita un dominio sui popoli in maniera assoluta e stabile. Partendo da tale visione, la ragion di stato diviene l’insieme di tutte le azioni, i metodi, e gli strumenti necessari affinché tale dominio non venga mai meno.
Il pensiero dello scrittore di Bene Vigenna, si distingue però da quello del Machiavelli nell’aver dato risalto e importanza al concetto di morale. Infatti, l’uso spregiudicato della ragion di stato da parte di chi governa deve essere equilibrato e mitigato da virtù quali la moderazione e la giustizia.
Botero pone inoltre rimedio ad una grave “svista” del politico fiorentino. Quest’ultimo, infatti, non prende mai in considerazione nelle sue opere l’enorme importanza dell’economia come parametro di riferimento per la valutazione e la misurazione della potenza di uno stato.
Con il passare degli anni, più di trecento, il concetto di ragion di stato si è via via evoluto, smussando molti degli spigolosi angoli delle idee machiavelliane e boteriane; il termine “interesse nazionale” ha sostituito quello di ragion di stato, ed il passaggio dai feudi a Stati diversamente dimensionati e organizzati ha posto un accento sempre più importante sulla politica estera e le relazioni internazionali.
La cosiddetta scuola realista di relazioni internazionali considera la politica estera come elemento imprescindibile e fondamentale per il raggiungimento dell’interesse nazionale. Il Cancelliere di Stato dell’impero austroungarico von Metternich viene considerato il primo e più importante esponente di tale scuola di pensiero, nonostante già qualche anno prima della sua nomina, nel 1815, il Congresso di Vienna, attraverso la pratica dell’equilibrio delle forze volta a dare valore diverso agli interessi nazionali di diversi stati in base alla loro “dimensione”, aveva già posto le basi pratiche a tali concetti.
Abbiamo adesso un quadro completo dell’importanza della ragion di stato o interesse nazionale. Sappiamo ai giorni nostri che il driver principale che spesso muove le azioni dei governi è l’economia, così come teorizzato da Botero. Vediamo come la sopravvivenza e la sicurezza di uno stato siano gli elementi più importanti dell’interesse nazionale e come spesso la ricerca del benessere e la crescita per uno stato vengano messi in secondo piano rispetto alla crescita ed al mantenimento del potere.
Trovandoci in questi tempi a vivere in uno stato sovranazionale che chiamiamo “Europa Unita”, e considerando le premesse fin qui fatte, qual è, in questo caso, la ragion di stato? O meglio, siamo davvero sicuri che l’interesse nazionale di cui molti ci parlano, per giustificare le proprie scelte, sia l’interesse nazionale di questo nuovo stato chiamato Europa?
Nel suo scrivere «Il popolo molte volte desidera la rovina sua ingannato da una falsa specie di bene», il Machiavelli prevedeva che le azioni del popolo che portano alla sua rovina, siano derivanti da un inganno, da un credere cose, o convincersi di cose che non corrispondono al Vero. Ovviamente la parola “ingannato” nello scrittore fiorentino non presuppone un agente volontario esterno volto ad ingannarci, ma bensì una sorta di abbaglio che la nostra coscienza prende autonomamente.
Il potere, che rappresenta allo stesso tempo il “braccio armato” e l’elemento fondante dello stesso interesse nazionale, diviene il primo elemento su cui riflettere quando si parla di obiettivo di sopravvivenza di uno Stato.
Prendiamo ad esempio una serie di eventi che come cittadini ci si trova ad affrontare. L’ingresso nell’Unione Europea e la scelta di rapporti di concambio tra valute per dare origine ad una unica moneta, hano realmente agevolato lo stato Europa? O, come al Congresso di Vienna, hanno pesato diversi interessi nazionali e non uno solo…
E ancora. Inserire di volta in volta nuove nazioni in questa unione, ha permesso realmente all’Europa intera di godere di benefici e di tradurre tali benefici su tutti i suoi componenti? O anche in questo caso pochi hanno beneficiato a scapito di molti. Quali ragioni di stato si sono dimostrate più forte dell’interesse nazionale Europeo?
Perseguire una politica di rigore economico basata sul controllo esclusivo del debito fino ad arrivare ad obbligare stati membri di questa unione a fallire, persegue davvero il principio della sopravvivenza di uno Stato come elemento fondante dell’interesse nazionale?
Il sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America, Abraham Lincoln, primo ad appartenere al partito Repubblicano e considerato a detta di molti storici tra i più importanti e popolari presidenti americani, ci ha spesso illuminato la strada.
«Il Governo dovrebbe creare, emettere e far circolare tutta la valuta ed il credito necessario per soddisfare il potere di vendita del Governo ed il potere d’acquisto dei Cittadini consumatori. Il privilegio di creare ed emettere moneta non è solo la suprema prerogativa del Governo, ma è anche la sua più grande opportunità creativa. Con l’adozione di questi princìpi, ai Contribuenti saranno risparmiate enormi quantità di interessi. Il denaro cesserà di essere il padrone e diventerà il servitore dell’Umanità.»
E ancora:
«Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre».