Daniel aprì la porta. “Accomodati David, conosci il mio figliolo Thomas, vero?” “Certo”. David si voltò verso il ragazzo e accompagnato da un cenno della mano disse: “Buonasera Thomas, come va?” “Bene, grazie signore” Rispose il piccolo Daniel prima di correre via, su per le scale. Daniel chiuse la porta. “Voglio mostrarti questa lettera che mi è appena giunta dalla Francia. E’ di Jean- Jacques”.
Doveva presentarsi pressapoco così l’ambiente in cui Thomas Robert Malthus crebbe. L’amico del padre che entrò a far visita alla famiglia quella sera era David Hume, e la lettera che insieme avrebbero letto di lì a poco era stata spedita da Jean-Jacques Rousseau.
Nel 1789 venne pubblicato “An essay of the principle of the population as it affects the future improvement of society”, nel quale Malthus sosteneva come l’aumento demografico avrebbe condizionato l’andamento economico delle materie prime fino a giungere alla catastrofe ed all’auto-distruzione dell’uomo. Tale teorizzazione trovava la sua spiegazione nel fatto che, secondo Malthus, la popolazione tendeva ad aumentare in progressione geometrica, mentre la sussistenza (generi di sostentamento) soltanto in progressione aritmetica.
Benché a livello teorico-concettuale gli studi di Malthus fossero validi, i fatti ne mostrarono ben presto tutta la debolezza a livello matematico e statistico; le previsioni dello studioso si rivelarono di fatto false. La cosiddetta “trappola malthusiana” fu abilmente scartata dai paesi occidentali grazie all’aumento della produzione agricola da un lato, e l’avvento delle nuove tecnologie che portarono alla Rivoluzione Industriale, dall’altro.
Nonostante tutto ciò, a Malthus va riconosciuto almeno il merito di aver dato inizio, anche se inconsapevolemente, a quello che, un secolo e mezzo più tardi, venne definito come il concetto della Distruzione Creatrice.
Per comprendere il passaggio dobbiamo, però, fare un passo indietro. Nel 1838 Charles Darwin, riferendosi agli scritti di Malthus affermava: “finalmente ho trovato una teoria con cui lavorare”. Nel suo “The Origin of Species”, del 1859, Darwin giunse alla visione di un mondo dove il più adatto riesce a sopravvivere e a evolvere in una nuova specie più sofisticata e meglio equipaggiata. In effetti più che per l’aria di Cambridge, dove sia Malthus che Darwin vissero per qualche tempo in periodi diversi, il collegamento naturale tra i due ed i loro scritti è da rilevare nelle molteplici assonanze che legano le forze della natura e quelle dell’economia del libero mercato.
Sulla base di tali assonanze si giunse ben più tardi alla legge della giungla economica. Come la natura, il libero mercato può essere crudele. Seguendo leggi e principi a volte imperscrutabili, entrambi possono far soccombere individui validi e dotati di talento. Prendiamo un imprenditore che finanzia con danaro e fatica un’idea che non si rivela di successo; o ancora un investimento mobiliare sbagliato; il fallimento o la bancarotta possono avere la meglio da un momento all’altro. A questo punto il darwinismo può venire in nostro aiuto; la legge della distruzione creatrice afferma che tali fallimenti contribuiscono a rendere più solida l’economia e più sana la società, poiché, come nella teoria dell’evoluzione, permettono l’estinzione naturale di elementi vecchi e incapaci di adeguarsi per lasciar spazio a quelli più nuovi, vitali e perfettamente adattati.
La legge della distruzione creatrice fu elaborata agli inizi del XX secolo da un gruppo di studiosi austriaci e trovò formale teorizzazione grazie ad uno dei suoi più fervidi sostenitori: Joseph Schumpeter. Nel suo “Capitalism, Socialism and Democracy” del 1942, egli sosteneva che l’economia non procede ad una velocità costante, ma bensì seguendo i cosiddetti cicli di espansione e recessione. In periodi di espansione i consumi e l’indebitamento dei privati, tendono a crescere e, comparativamente, per le imprese risulta più semplice fare profitti. A lungo andare, secondo Schumpeter, tali periodi hanno l’effetto di dare origine ad
aziende più inneficienti, che in tempi meno favorevoli non sarebbero nemmeno nate. Di contro, quando l’economia si contrae, i consumi e l’indebitamento privati tendono a diminuire e di conseguenza le aziende inefficienti a fallire. Ed eccoci arrivati al concetto della distruzione creatrice. Pur essendo doloroso, nel breve periodo, e in tali circostanze, gli investitori saranno portati ad indirizzare i loro soldi verso settori più dinamici dell’economia, alimentando il tasso di crescita potenziale dell’economia nel lungo periodo.
Tale teoria della sopravvivenza del più adatto, fu messa in pratica durante la Grande depressione del 1930, dove la politica americana lasciò fallire centinaia di banche seguendo le parole di Andrew Mellon, allora Ministro del Tesoro USA: “investitori, liberatevi dei lavoratori, delle scorte, degli agricoltori e dei beni immobili… Così verrà eliminato il marcio del sistema.
Nonostante risulti chiaro quanto troppo alla lettera fu presa la teoria da parte del governo statunitense di quel tempo, il principio della distruzione creatrice rimase di per sé valido. Benché soltanto 19 delle cento principali imprese di inizio secolo, siano sopravvissute fino al 1995, l’economia americana dopo quel buio periodo crebbe decisamente rigogliosa. Le analisi seguenti hanno dimostrato come ogni recessione abbia avuto il compito di aumentare la produttività invece di diminuirla. Come la teoria dell’evoluzione lascia che sopravvivano le specie in grado di adattarsi più efficacemente ai mutamenti dell’ambiente, così la distruzione creatrice a prodotto economie più efficienti.
Oggi l’Europa e buona parte del mondo occidentale si trovano ad affrontare il mutamento dell’ambiente circostante. I migliori, i più capaci, i più forti sapranno adattarsi mutando se stessi ed i propri obiettivi. A loro è destinato l’onore e l’onere di dar vita ad una economia più solida ed in grado di portarci ai confini di questo nuovo balzo dell’evoluzione.