Mundell e la miopia

Un vecchio detto popolare recitava: “non c’è peggior sordo di colui che non voglia ascoltare”. Ovviamente potremmo applicare tale affermazione anche agli altri sensi, con un particolare accento sul quello della vista. Prendendo uno qualsiasi dei molti vocabolari della lingua italiana e cercando la parola miopia, troviamo, dopo l’etimologia greca (myopos – “socchiudere gli occhi”) e la descrizione medica, il senso figurato. Miopia: mancanza di acume, di lungimiranza. Ora, posiamo il vocabolario ed andiamo a prendere un dizionario dei sinonimi e contrari. Tra i sinonimi troviamo: imprevidenza, inavvedutezza.

Molti sostengono che alla base dell’unione monetaria del ben più aulico concetto di unione europea, ci siano diverse teorie. La più accreditata sembrerebbe essere quella delle “aree valutarie ottimali”. Padre di questa teoria è Robert Alexander Mundell. Nato nel 1932 in Canada, elaborò la teoria nel lontano 1961. Vinse il premio Nobel per l’economia nel 1999.

Osservando l’Unione americana, Mundell indicò i criteri secondo i quali paesi differenti possono unirsi creando una valuta unica e nuova, ottenendo al contempo buone probabilità di migliorare le loro situazioni precedenti in termini di crescita e stabilità. Perché tutto ciò accada devono però pre-esistere , o essere facilmente implementabili, almeno sei condizioni fondamentali: a) Un forte e strutturato interscambio commerciale, in termini di importazione ed esportazione di merci, beni e servizi; b) Una effettiva mobilità del lavoro tra i paesi che intendono unirsi monetariamente; c) Una mobilità del capitale tra i paesi; d) L’integrazione totale dei mercati finanziari; e) Un coordinamento tributario che preveda univocità di aliquote; f) Una cultura comune o comunque molto compenetrabile.

Presupponendo che tali pre-messe fondamentali sussistano, i benefici derivanti da una unione monetaria si trasferirebbero in un maggior interscambio commerciale dato da un minor costo delle transazioni (eliminazione del rischio di cambio). Mercati finanziari integrati totalmente (sia azioni che obbligazioni) ed il coordinamento fiscale permetterebbero poi la compensazione di squilibri in termini di crescita e una maggiore efficienza nella risoluzione di problematiche derivanti da crisi economiche sistemiche.

Se tutti questi passi fossero seguiti, si giungerebbe appunto ad un’ “area valutaria ottimale”; un’unione, secondo Mundell, in grado di reagire ad uno “shock asimmetrico” senza portare l’unito sistema economico in recessione. In altri termini, se ciò non avviene, quell’area valutaria non può definirsi ottimale.

In ultima analisi non dimentichiamoci l’unione politica. Essendo la moneta un’ espressione della sovranità popolare, lo stesso Mundell affermò che il successo dell’euro sarebbe dipeso proprio dalla capacità dell’Europa di diventare una vera unità politica.

Partendo da tutte queste basi, risulta evidente che l’unità monetaria che ha dato origine alla nostra moneta comune, non presenti le caratteristiche richieste non solo per la sua nascita, ma nemmeno per la sua sopravvivenza. L’introduzione della moneta unica ha creato scompensi proprio per la diversa, e a quanto pare insanabile, natura e struttura dei paesi che vi hanno aderito. In Italia, ad esempio, la moneta unica ha portato un apprezzamento sostanziale del costa del danaro, determinando continue crescite modeste o recessioni senza uscita. Al contrario, la stessa moneta unica, data la bassa inflazione tedesca, ha portato la Germania ad una maggiore competitività agevolando la produzione interna e di conseguenza l’export. Germania e Italia soffrono però anche di malattie comuni. L’alta imposizione fiscale non può essere abbattuta per poter dare supporto ai consumi interni poiché la bassa crescita accresce il debito pubblico. Ma mentre la Germania può ancora contare sull’export per bilanciare la situazione, l’Italia accusa i danni di una moneta forte con un basso potere di acquisto unendo insieme recessione e inflazione media superiore a quella europea.

Ed ancora uno degli impegni della Banca Centrale Europea è quello di vigilare e intervenire, in maniera inflessibile, sulla stabilità dei prezzi, con parametri di riferimento tarati in situazioni di inflazione all’uno per cento. Tale inflessibilità spinge alcuni paesi verso la deflazione e altri, tra cui l’Italia, all’obbligo di premere ancora maggiormente sulla leva fiscale, aggravando la loro situazione.

Benché tali problemi fossero ben presenti e visibili da qualche anno, la crisi attuale non ha fatto altro che riproporceli in maniera più evidente; la miopia sembra non guarire. L’unione monetaria che oggi abbiamo non funziona. E’ il caso di dirlo una volta per tutte e decidersi a prendere provvedimenti seri per rianimare il paziente e curarlo come deve essere curato, oppure staccare definitivamente la spina e cercare di rinascere come la Fenice dalle proprie ceneri…a questo punto però nuovamente divisi.

Seguendo i principi di Mundell, l’unione monetaria dell’Europa non può certo definirsi ottimale, in quanto non in grado di gestire shock asimmetrici in maniera da non portare alla recessione. Anzi nel caso europeo tale unione aggrava la situazione trasferendo a tutti gli stati quegli shock che di volta in volta colpiscono singolarmente i vari membri. A questo punto la più probabile e inevitabile delle situazioni diventa il  crash dell’intero sistema.

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