Plaidino, pastina e Rete 4 ..e sei in pole position!
di Gianluigi M. Riva
«Prendo il giornale e leggo che / di giusti al mondo non ce n’è. Come mai?»
Cantava l’Adriano nazionale. Nulla in fondo è cambiato. E al TG delle 20, la “nera” ha sempre il suo spazio preponderante (bilanciata dalla “rosa” pomeridiana che quieta gli animi turbati delle “sciure”).
Di “sciuri” e “sciure” attempati, purtroppo la nera si è occupata (ancora) recentemente. Diversamente giovani “ospitati” in case “di cura” sono stati oggetto di maltrattamento. Fanno coppia (anzi, scala reale) con le quotidiane cronache di maltrattamenti ai bambini dell’asilo, ad handicappati e barboni, alle vittime del bullismo, a quelle dei maltrattamenti in famiglia, alla crudeltà verso gli animali.
Ma come?! Siamo circondati dall’imperio ideocratico del “volemose bene”, siamo belli dentro e fuori, siamo tutti (forzosamente) uguali, dobbiamo (è fatto obbligo) essere buoni. Il tutto condito da un endemico proliferare di falsa modestia, falsa carità, falsa spiritualità e falsa bontà egalitaria. E allora!?!
Che vada forse di moda?! Bah, chissà, ma qualcosa non torna..
Alle parole non corrispondono i fatti. Gente che ammazza i figli, che si sgozza per strada per un diverbio in macchina, persone che buttano l’acido addosso ad altre che sostengono di amare, solo per gelosia o perché non sanno accettare un rifiuto. Persone che picchiano bambini ed anziani a loro affidati.
La gente sta dando fuori di matto. Perché?
Ipotesi – mera ipotesi – da azzardare: la violenza è un elemento fondante della natura animale, così come di quella umana (ossia di un animale talmente arrogante da pensare di non esserlo più). Il cervello rettiliano, che è la parte più antica ed interna del nostro encefalo, conserva le tre informazioni principali che ci servono per sopravvivere in natura: nutriti, riproduciti, combatti. E non è un caso che esse siano strettamente correlate nelle perversioni sessuali.
Ora, quale elemento intrinseco della natura umana, la violenza è presente in tutti noi, anche se non viene manifestata. E ha bisogno di valvole di sfogo. Ma in un mondo che ci vuole tutti ostinatamente buoni e “corretti”, in un mondo dove le generazioni non conoscono più la guerra o la violenza di strada (meno male), in un mondo dove l’unico mezzo lecito di “fare violenza” è quello dei videogiochi, queste valvole di sfogo non esistono più. E quindi la gente scoppia alla prima scintilla. Non sapendo più controllare le emozioni e le pulsioni, non sapendo più accettare la sconfitta o l’abbandono.
In questo contesto abbiamo la cronaca recente, fatta di anziani maltrattati dalle persone cui erano “affidati”.
E tutti noi, dall’alto dei nostri comodi divani, a condannare subitamente il malvagio inserviente. Clap clap clap: applausi per la coerenza. La condanna facile è sempre un abito che va con tutto, comodo per ogni stagione. Lava le coscienze ed (auto) assolve rapidamente, specie da questa parte del teleschermo.
Partiamo da qui: per ogni anziano “affidato” alla casa “di cura”, c’è almeno un parente che ivi lo “parcheggia”. Sì, sì, certo, non è facile gestire un anziano e non tutti si vogliono disfare del/della vecchio/a. Ma fa comunque comodo non avere quel mucchietto di ossa da gestire quotidie. Mentre la pensione, quella sì, fa comodo.
Poi ci sono gli inservienti/badanti/assistenti/infermieri/#chipiùnehapiùnemetta, ossia coloro accusati dei maltrattamenti. Cosa sicuramente spregevole, specie verso chi (bambini, anziani, handicappati) non è in grado di difendersi. Ma dobbiamo anche renderci conto che queste persone (la maggior parte) non fanno questo lavoro per vocazione o passione, ma perché costretti, da crisi e disoccupazione, ad accontentarsi.
E allora il passo successivo è: dal nostro amato divano, proviamo un attimo ad immedesimarci in persone che per mantenersi devono accudire vecchi, infermi, malati, bambini, handicappati. Ossia soggetti che – pur legittimamente – fanno capricci, urlano, sbavano, si ripetono in continuazione, non capiscono, si fanno i loro bisogni addosso ecc. . E ora pensiamo di doverlo fare per otto ore. E queste otto ore moltiplichiamole per (almeno) 5 giorni alla settimana. E poi per tutte le settimane del mese e i mesi per gli anni. Ancora disposti a condannare facilmente? …considerando che costoro devono apprestare questi servigi a coloro che noialtri, in qualità di figli, genitori, parenti, non vogliamo/possiamo accudire.
Lo scenario si complica, almeno per ciò che attiene ai nonni. Perché qui ormai, con sta storia che “siam pronti alla vita” (come cantavano felici ed ammaestrati i marmocchi di Expo), nessuno vuol più tirare le cuoia!
Eh già, bello così: facciamo la vitaccia che vogliamo e poi quando spunta il malanno andiamo dal dottore e diciamo «Salvami». Poi se qualcosa va storto gli facciamo pure causa. Mangiamo ad ingordigia fino a diventare obesi mentre in giro c’è gente che muore di fame, poi però ci mettiamo a dieta (con gli integratori èh, che si fa meno fatica!) perché c’è la prova costume. Ogni acciacco va curato, ogni malattia superata, ogni sintomo di vecchiaia spazzato via, ogni ipotesi di mortalità, rimandata inesorabilmente.
La gente invecchia senza voler morire. Resiste così così col fisico (grazie alle nuove tecniche mediche e all’imbottimento da farmaci), ma poco poco col cervello. E abbiamo eserciti di vecchi che camperanno ancora decenni, senza però poter badare a sé stessi ..e magari senza nemmeno capire più nulla. E questa è vita?
È vita quella passata a sopravvivere di medicine per guardare la TV tutto il giorno e non ricordarsi cosa si è fatto il giorno prima e detto un’ora fa? Magari per qualcuno sì. Certo la vita è un diritto. Un diritto del singolo. Ma come bisogna porsi quando il diritto del singolo si contrappone a quello della moltitudine?
È inutile che ci nascondiamo dietro al dito, vecchiaia, handicap e infanzia sono un problema per la società.
Quando leggiamo che gli antichi buttavano i neonati malformi dalla rupe (che poi è una leggenda), non è che fossero crudeli. Semplicemente quella società non poteva permettersi di sostentare anche i soggetti deboli. Oggi possiamo, fortunatamente. Ma sfortunatamente non siamo molto bravi a farlo.
Manca una seria formazione del personale, che andrebbe selezionato accuratamente, supportato da sedute di “scarico psicologico” e pagato adeguatamente (eh sì perché se pagate la badante qualche cento euro non lamentatevi se lei circuisce il nonno facendosi toccare il culo, per poi farsi lasciare la casa in eredità).
Manca un’etica della cura e manca perché la società è allo sfascio; giovani (e meno giovani) sono lontani dall’essere tranquilli e soddisfatti (economicamente e lavorativamente) e dunque non hanno energie da dedicare – e sacrificare – alla (diciamolo: pesante e stancante) cura di un anziano, di un bambino o un handicappato. Solo l’amore di un genitore riesce a superare questi ostacoli e talvolta nemmeno questo basta.
Manca una consapevolezza comune – ormai anche dal punto di vista spirituale e religioso – che la morte fa parte della vita e che come tale va accettata.
E c’è poi tutta una questione di diritto legata a queste considerazioni. Perché ci riempiamo la bocca col diritto alla vita per giustificare questa o quella pratica medico/sociale (ogni riferimento a persone, cose o fatti è puramente voluta), ma neghiamo (e ci disinteressiamo) dell’altrettanto importante diritto a morire. A non agonizzare. A interrompere uno stato di sofferenza o di inconsapevolezza.
Un diritto – che a differenza di altri molto più egoistici – non lede nessuno.
Il nostro Ordinamento (e altri come esso) non conosce – né, vuole conoscere – istituti giuridici come l’eutanasia, il diritto di non accanimento terapeutico o il testamento biologico.
Se una persona nel pieno delle sue facoltà, lasciasse fra le sue ultime volontà che nel caso sopraggiungesse l’Alzheimer vorrebbe fosse interrotta la sua vita, ciò non sarebbe – ad oggi – consentito e ammissibile. Eppure costui, malato d’Alzheimer, sarebbe così condannato a sopravvivere, anche per decenni, come un lobotomizzato. E parimenti sarebbero condannati i suoi parenti, o quei tanto vituperati assistenti/badanti.
A che società vogliamo andare incontro ragazzi?! Perché se continuiamo così, i fenomeni che stiamo già vedendo – come quello di vecchi costretti ad accudire altri vecchi (quando una persona di 70 anni deve accudire il proprio genitore di 25/30 più anziano le differenze biologiche di età, si annullano), o come il problema delle pensioni, della scarsa natalità e della violenza – inesorabilmente si acutizzeranno.
La saggezza popolare ci insegna che un genitore cura da solo dieci figli, ma dieci figli non sanno curare insieme un genitore. Ma poi, come si suol dire (e come direbbe il più pregevole dei Razzi), «A farsi i cazzi propri si campa cent’anni/» …quindi: shhhhhh, non parlatene con nessuno.
..ma ricordando che di sicuro al mondo ci sono solo le tasse e la morte, riflettiamo sul fatto che se inganniamo la morte, poi però ci rimangono solo le tasse!