Eterologazione omocratica

alt

Pensare non va molto più di moda… nonostante sia gratis

di Gianluigi M. Riva

Irlanda. Paese meraviglioso, di gente meravigliosa. Un po’ bigotto: la separazione fra Stato e religione non è così netta come da noi. E loro se ne stupiscono.

Paese un po’ ipocrita, da un paio di settimane. A fine maggio l’Irlanda ha detto “sì” al matrimonio gay. Ma l’Irlanda, per esempio, ha il divorzio da soli 5 anni. E ancora dice “no” all’aborto. Per cui le donne (che se lo possono permettere) prendono e vanno ad abortire in cliniche inglesi.

Paese dove il delfino Leo Varadkar, Ministro della Salute prossimo al “premierariato”, fa outing per supportare le ragioni del “sì”.

Ecco, partiamo da qui.

Che eroe moderno! Un paladino.

Cosa avremmo detto se in un referendum per introdurre il diritto di aborto un Ministro avesse esternato la propria esigenza di abortire (o far abortire), magari perché rimasto “inguaiato”, così da supportare le ragioni del “sì”?!

Pensiamoci bene.

Ora si può iniziare a trattare l’argomento. Spinoso, delicato, fraintendibile e sicuramente fraintendendo: matrimonio omosessuale e diritti connessi.

La questione presta il fianco al partigianesimo, così come ad arroccamenti pregiudiziali e a scontri etici. Insinuandoci nella terra di nessuno fra le due trincee, in questa sede si tenterà di offrire una visione diversa: quella del Diritto. Si spera spuria dalle solite polemiche.

Se qualcuno si dovesse sentire offeso… be’, dispiace, ma ce ne faremo una ragione. In fondo capita a tutti: anche questa è uguaglianza!

Occorre fare cogenti premesse metodologiche prima di iniziare il sermone giuridico: ubi societas ibi Jus. Il Diritto segue la società. Spesso in ritardo. Il Diritto si adegua alle evoluzioni della collettività e ne regola i rapporti.

Il Diritto discende dall’etica, applicazione di un concetto teorico e sfuggente – che regola la condotta umana fra il giusto e lo sbagliato – a situazioni concrete. Concetto tanto interpretabile, quanto soggetto a mode e pensiero storico imperante.

Quando si parte dall’etica per creare il Diritto, la scelta è tranchant. Talvolta è necessario che lo sia. Ma l’etica è anche ciò che permette di calmierare la rigidità della regola astratta e generale. E ciò che consente di applicare la legge al caso concreto, con la discrezione dell’equità.

Ciò detto, in questa sede faremo un esperimento inverso. Tralasciare l’etica per parlare del solo Diritto, quello tecnico. Senza politica giuridica o opinioni interpretative.

Diritto, solo Diritto: freddo, gelido Diritto civile.

Orbene, il Diritto regola e disciplina. Più concettualmente il Diritto segna dei confini: perché la società necessita di confini.

Esempio semplice: limite di velocità a 50Km/h. Si passa a 51 e si prende la multa. Sembra un’ingiustizia, ma la collettività ha bisogno di quel limite. Così può valere per le aliquote fiscali, la maggiore età o tante altre questioni.

Altro dettaglio: Il Diritto segue equilibri matematici. Sinché un fenomeno non sarà numericamente degno di essere regolato, la legge non lo tutelerà. È successo al contratto di leasing ed ora succede al matrimonio gay.

Ultimo corollario: un Sistema giuridico è come un complesso orologio. È fatto di meccanismi, tutti perfettamente incastrati fra loro a disegnare un movimento dinamico. Tutto è parametrato alla forma della cassa dell’orologio, al tipo di meccanismo, al tipo di datario e così via. Se si pretende di cambiare una rondella, una molla, o i denti di una rotella, bisogna stravolgere tutti gli altri meccanismi e riparametrarli a quel cambiamento. Altrimenti l’orologio non funzionerà più.

Esistono dei limiti al cambiamento: non si può utilmente cambiare un orologio con meccanismo meccanico automatico, in modo che segni l’ora in maniera digitale.

alt

Ebbene, svolte queste opportune premesse, diamo il via alle danze giuridiche: errore comune (e comprensibile) del profano in materia giuridica, è che vengano tutelati aspetti della propria vita come amore e felicità. Così chi pensa al matrimonio pensa che esso tuteli il sentimento di una coppia. E quindi si vorrebbe (giustamente da tale punto di vista) estendere tale tutela a tutti.

Nulla di più sbagliato: è brutto spezzare questo fragile romanticismo giuridico, ma la legge non tutela né l’amore né la felicità. La legge nono conosce i concetti di “amore” e “felicità”!

Il Diritto opera per mezzo di principi e beni giuridici da tutelare. Così, il matrimonio è un contratto. Il bene giuridico tutelato dalle norme del Codice Civile che lo disciplinano, è la famiglia. Ciò si evince chiaramente dalla lettura di alcuni articoli, come ad esempio l’art.143 (“Diritti e doveri reciproci dei coniugi”) comma 2, dove si prevede che «dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione». Lo si vede anche nell’art.144 (“Indirizzo della vita familiare e della residenza della famiglia”), dove si legge che le esigenze della famiglia prevalgono su quelle dei singoli coniugi.

Due considerazioni brevi: Il matrimonio, in quanto tale, non è definito dal Codice. La condivisione di vita spirituale e materiale non è il fine del matrimonio, ma un’insieme di diritti e doveri reciproci.

La famiglia prevale su tutto.

Parlando di matrimonio, la famiglia è anche il bene giuridico massimo tutelato dalla Costituzione. L’art. 29 c.1 Cost. sancisce che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». Al comma 2 ci dice addirittura che «Il matrimonio è ordinato all’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare».

Si vede dunque che il matrimonio è solo il mezzo di tutela della famiglia. Ma cos’è la famiglia? Ce lo ha già detto la Costituzione: è una società naturale. Ciò significa che è preordinata al concepimento, alla procreazione. La famiglia pertanto, gode di così ampia tutela perché è il nucleo fondamentale per il proseguimento della specie (se la si vuole vedere anche dal punto di vista antropologico/evoluzionistico). Va sottolineato che la nostra Carta fondamentale usa il termine “naturale” e non il termine “normale”.

Il concetto di normalità infatti cambia ed è legato (anche) a fattori numerici, oltre che culturali. Mentre il concetto di “naturalità” è ben diverso: esso è connaturato all’ordine immutabile (ormai non più tanto) delle cose. E questo è innegabile, a prescindere da ogni etica od opinione: la natura ha previsto per l’essere umano l’unione eterosessuale quale unico mezzo di procreazione.

A ben pensarci il termine “matrimonio” deriva dal latino mater (madre), poiché la donna è il tempio della vita e il coniugio è il rito sacrale col quale si sancisce un’unione volta alla creazione di un nuovo essere.

Tanto quanto “patrimonio” deriva da pater (padre) e rappresenta il complesso di beni materiali da trasmettere alla propria discendenza.

Come dire, la donna rappresenta la spiritualità e l’uomo la materialità… ma questa è un’altra storia!

Che il fine della famiglia “giuridica” e “naturale” sia quello della procreazione è proprio sancito sempre dalla Costituzione all’art.30 c.1: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio». Da ciò si evince che il bene giuridico “figlio”, prevale sull’istituto del matrimonio. Che i figli siano al centro della famiglia e siano il fine ultimo del matrimonio, lo si comprende anche dalla lettura dell’art.147 C.C. (”Doveri verso i figli”), che riprende ed amplia il dettato costituzionale con le ben più enfatiche parole «il matrimonio impone ai coniugi l’obbligo di […]».

Si dirà che le donne e gli uomini sterili si possono comunque sposare e quindi decadrebbe tale ragionamento. Ma così ci si dimentica che la legge agisce in maniera generale ed astratta e non su casistica. La legge tutela la famiglia e i figli come entità sociale, a prescindere che nella situazione concreta essi possano essere sterili, infermi, insani di mente o condannati per reati ecc..

Facciamo un passo oltre.

Molti sostenitori del matrimonio omosessuale sottolineano che non vi sia norma positiva nel nostro ordinamento che lo vieti e, quindi, esso sarebbe consentito. Vero.

Se non fosse che vi è un errore interpretativo di fondo. Dall’art. 84 all’art.89 del Cod. Civ., esistono tutta una serie di divieti di matrimonio, tra i quali è assente il divieto di essere dello stesso sesso. Ulteriore divieto espresso, che addirittura costituisce reato, è quello di bigamia (art. 556 Codice Penale).

Ma se analizziamo un po’ più approfonditamente il dato giuridico, constatiamo che l’omosessualità dei nubendi non è vietata, semplicemente perché il sesso diverso è uno dei presupposti fondamentali del matrimonio (altri sono la libera volontà o la maggiore età, salvo deroghe espresse).

Un presupposto giuridico è un elemento essenziale (spesso uno “status giuridico”) di una fattispecie, senza il quale la fattispecie non viene nemmeno ad esistere.

Così, per rimanere in tema di contratti, non è possibile stipulare un contratto con se stessi, a meno che da una parte si rappresenti un’altra entità giuridica (una società ad esempio). Un altro esempio è quello dello status giuridico di consumatore: se si compra lo stesso bene come consumatore o come professionista, cambia il tipo di tutela civile che la legge appresta. Lo status diventa quindi un presupposto giuridico di un contratto.

E così, si può agevolmente notare che il Codice Civile, pur non definendo il matrimonio, parla (artt.143 e 143bis C.C., fra gli altri) di marito e moglie e non solo astrattamente di “coniugi”. “Marito” quale soggetto di sesso maschile e “moglie” quale soggetto di sesso femminile. E ciò sempre nell’ottica del matrimonio come mezzo di tutela della famiglia, in quanto preordinata alla procreazione.

Altro passo in avanti (molto più controverso e spinoso): art. 3 Cost.: eguaglianza dei cittadini. I sostenitori del matrimonio gay usano spesso tale argomentazione: agli omosessuali devono essere riconosciuti pari diritti che agli eterosessuali.

Assolutamente e pienamente d’accordo. E infatti ciò avviene già.

Come detto il matrimonio non tutela l’amore e necessita di presupposti. Ed è accessibile a chiunque abbia quei presupposti.

Cambiare quei presupposti solo per consentire a chi ha un orientamento sessuale diverso di ottenere i medesimi risultati, avrebbe il paradossale risultato di dare dei diritti in più agli omosessuali, solo sulla base delle loro preferenze sessuali.

Essi dunque potrebbero sposarsi sia con uomini, che con donne. Ma l’“orientamento sessuale” non è presupposto del matrimonio. Lo è il “sesso”. E infatti, coloro che cambiano sesso tramite operazione chirurgica, diventando legalmente “maschio” o “femmina”, possono sposarsi (con qualcuno di sesso opposto, ovviamente).

L’art. 3 Cost. ci dice che l’eguaglianza davanti alla legge, prescinde dalle distinzioni di sesso ecc.. La discriminazione infatti, è vietata sia in positivo che in negativo: ossia non si possono dare meno diritti sulla base di un sesso, razza, lingua o religione diversi… ma nemmeno di più! 

Quindi attenzione ad abusare dell’“eguaglianza”: essa va intesa in ogni senso. 

Un esempio sciocco: nessun daltonico si sente discriminato perché i colori dei semafori sono “tarati” sulla visione prevalente dei colori. Prevedere altre regole della strada per i daltonici, sarebbe dare loro diritti in più, non tutele maggiori perché soggetti “deboli” agli occhi del legislatore. 

Il soggetto debole viene tutelato rafforzando o agevolando la sua posizione giuridica, non cambiando i presupposti del Diritto.

Terminati i ragionamenti di Diritto strictu sensu, è bene ampliare la visione su questioni di politica normativa.

Come accennato la legge crea confini, necessari a regolare il funzionamento della società. Il Diritto è poi un meccanismo complesso, anche legato a fattori numerici.

Al di là delle considerazioni giuridiche esposte, se si cambiassero i meccanismi e si introducesse una norma di Diritto positivo che estendesse l’istituto del matrimonio anche agli omosessuali, bisognerebbe pensare – e bene – alle conseguenze (giuridiche e sociali). Non solo presenti, ma anche future.
Così se il legislatore degli anni ’70 avesse ponderato meglio la legge sul divorzio, avrebbe potuto apprestare tutele migliori per i figli dei separati.

E infatti, ad esempio, una persona sposata con una dello stesso sesso, potrebbe sposarsi contemporaneamente con una di sesso opposto? Incorrerebbe nel reato di bigamia? Questione aperta!

E i bigami?! Non sarebbero forse loro discriminati? E non potrebbero legittimamente richiedere che venisse abolito il divieto penale? La folta comunità islamica avrebbe tutto il titolo per fondare tale richiesta. E una volta abolito il divieto si avrebbe un vero e proprio dramma giuridico per la disciplina patrimoniale delle comunioni matrimoniali e dei diritti successori. Il sistema andrebbe in tilt.

E lasciando stare la religione, rimaniamo fra gli orientamenti sessuali: esistono i bisessuali. Loro non potrebbero – a questo punto giustamente – sentirsi discriminati e rivendicare un matrimonio sia con un sesso che con l’altro? Quale principio lo ostacolerebbe una volta approvato il matrimonio gay?

Il matrimonio porta poi seco conseguenze giuridico patrimoniali o amministrative non indifferenti: fra tutte pensione di reversibilità ed estensione al coniuge della cittadinanza.

Come si potrebbero arginare i matrimoni di “convenienza”? Chi potrebbe vietarmi di sposare un mio amico in vista della mia dipartita, solo per “fregare” lo Stato («Piove, governo ladro!») e lasciargli la mia pensione? O sposare (per soldi) il clandestino per estendergli la cittadinanza?

Tutte cose che vanno considerate.

Come accennato, un sistema giuridico è un complesso meccanismo e non è diviso a compartimenti stagni. Tutti gli istituti si compenetrano a vicenda.

Abbiamo parlato di figli come centro della famiglia. Lasciamo perdere le solite quisquiglie e pinzillacchere psicologiche sulla crescita pedagogica del figlio.

La questione vera è un’altra ed è ancora più vicina all’etica di quanto lo sia il matrimonio. Si potrebbe sostenere che, allora, se si consentisse l’adozione alle coppie omosessuali si potrebbe consentire loro anche il matrimonio, poiché verrebbe salvaguardato il fine della procreazione della famiglia.

Vero.

Bisognerebbe però porsi il problema, etico, giuridico e sociale, non solo dell’adozione, ma anche del cd. “utero in affitto” o di tecniche ancora più al di là.

Se diamo un sguardo al futuro infatti (che è il compito che il legislatore dovrebbe svolgere quando interviene nel mutare le leggi), possiamo vedere che si stanno già studiando nuove forme eugenetiche di procreazione… e di modifica del genoma umano.

Cose tra l’altro in buona parte già possibili.

Così, una volta legalizzato matrimonio e adozione omosessuale, cosa avverrà quando sarà possibile impiantare un ovulo fecondato direttamente nel ventre di un uomo (maschio)? Sarà lecito? Sì, no, perché?!

O ancora cosa succederà quando la procreazione non necessiterà più di essere eterologa – e quindi con geni provenienti da un maschio e una femmina , ma sarà possibile combinare i geni dei due genitori (entrambi maschi o entrambi femmine)? Ancora una volta, sarà lecito, opportuno, vietato o cosa?!

Oppure come ci si potrà porre quando la tecnologia consentirà (e ci stiamo già arrivando) di scegliere le caratteristiche genetiche del proprio figlio: fra le quali sesso e, dunque, orientamento sessuale? Sarà lecito, etico o accettabile che una coppia scelga l’orientamento del proprio figlio e dunque – magari – una coppia omosessuale scelga un orientamento omosessuale?

Tutte queste domande – e molte altre – ce le dobbiamo porre ora. Perché modifichiamo una rotella dell’orologio senza ripensare tutto il meccanismo che lo governa, esso si romperà e pagheremo caro il prezzo della sua riparazione.

Ma non è finita. Usiamo ancora gli strumenti del Diritto e dell’immaginazione (non ne serve troppa). Se riconfigurassimo il matrimonio, cambiando i suoi presupposti in Diritto essi non sarebbero più il “sesso”. Plausibilmente, per evitare le discriminazioni di cui sopra, il presupposto diventerebbe essere “umano”.

Oggi la definizione di cosa sia un essere umano è ben chiara. Lo sarà anche un domani? Quando il nostro corpo sarà integrato da nanotecnologia che interagirà con le nostre funzioni fisiologiche, o da elementi (arti od organi) bionici o semi-bionici (ibridi fra tessuto organico e inorganico) cosa accadrà? Quando il nostro cervello sarà integrabile a supporti informatici, la nostra memoria (o anima) scaricabile (e replicabile) su supporti immateriali o la nostra mente connettibile agli altri esseri via rete, cosa succederà? Quando potremo agire sul nostro genoma per migliorare i nostri sensi, potenziare la nostra intelligenza e creare caratteristiche nuove, cosa sarà di noi?
Saremo umani? Cosa sarà umano?

E chi potrà sposare chi? Tutti con tutti?!

Certo, parlare di queste cose, ora, e legarle al concetto di introduzione del matrimonio omosessuale o meno sembra al meglio un vacuo esercizio di fantasia, al peggio un vaneggiamento. Sembra.

Ma non è forse il caso di porsi qualche domanda in più prima di agire su cose così delicate?

Allora, dopo tutto questo excursus, si può constatare come le società abbiano bisogno di confini, a tutela di loro stesse. Esistono dei baluardi (giuridici), che, se abbattuti, lasceranno indifesi molti altri diritti. Il matrimonio è uno di questi.

Orbene, non bendiamoci gli occhi con il velo del conservatorismo a tutti i costi. Il mondo, le società, le persone, evolvono e cambiano. E hanno bisogno di regole nuove.

Non si può pensare di fermare il progresso (o il procedere), ma si dovrebbe riflettere su come convogliarlo e confinarlo.

In questo caso – o forse in tutti i casi – sebbene il Diritto serva la società e dipenda da considerazioni etiche, forse sarebbe opportuno anteporlo a tali questioni. Così si capirebbero meglio “azione” e “reazione” e si potrebbero valutare anche meglio i propri giudizi e le proprie posizioni morali.

Un problema etico esiste. Certo che esiste. Eppure basta cambiare un attimo prospettiva per scardinarne i fondamenti. Chi fra gli oppositori all’adozione omosessuale (e chi scrive è uno di costoro) potrebbe mai dire che è preferibile che un bambino sia abbandonato? Meglio adottato da gay o in un orfanotrofio (se va bene)?!

Dopo tutto ciò, forse, basterebbe adottare un po’ di buon senso. Da entrambi i lati della barricata.

Non è sensato introdurre nel nostro sistema il matrimonio omosessuale, ma è ragionevole (e auspicabile) che una realtà sociale come quella delle coppie omosessuali venga regolamentata in qualche maniera, estendendo talune tutele proprie del matrimonio ed altre no. Questo sarebbe “eguale” e non discriminatorio. Per nessuno.

A volte la rigidità della regola apre molto più gli occhi dell’adattabilità dell’amore.

Potremmo essere tutti eguali nella nostra diversità e non più discriminati nell’uguaglianza omologata dalla moda e dal politically correct (aborro!).

Potremmo…

Una volta si diceva: volere è potere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.