Libera Chiesa in succube Stato

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Date a Pietro ciò che è degli altri

di Gianluigi M. Riva

È passato più di un secolo da quel 20 settembre 1870, quando Roma divenne Italia e Pio IX (pardon, San Pio IX) lasciò morire inutilmente le guardie svizzere per impedirlo, piuttosto che dare l’ordine di resa. In effetti il motivo era nobile: non avrebbe preso una decisione prima di aver completato la sua sciarada mattutina. Sant’uomo.

Quello fu l’ultimo giorno del Papa-Re (dicono). La fine del potere temporale della Chiesa (dicono).

Ma da istituzione plurimillenaria, la Chiesa Cattolica Romana ha trovato un modo intelligente di comandare lo stesso: fede ed egemonia, influenza e potere, denaro e simonia. Giustamente, se da una parte “Parigi val ben una messa”, dall’altra “La Chiesa non si amministra con le Ave Maria”!

Quindi è inutile far finta di rimanere stupefatti dai recenti scandali, o peggio fare gli indignati. La cosa c’è andata bene (e ci ha fatto comodo) per due mila anni. D’altra parte siamo noi quelli che ci giriamo dall’altra parte e preferiamo non guardare la storia.

Oggi ci fa ribrezzo vedere gli integralisti islamici che distruggono arte e storia e si pongono verso il credo e la civiltà altrui in atteggiamento di conquista, assorbimento e conversione. Ma noi cosa abbiamo fatto fino alla storia recente?

Forse ci dimentichiamo cosucce banali come gli eretici bruciati vivi, la Santa (Santa è!) Inquisizione – che esiste ancora ed ha solo cambiato nome – e le sue indicibili torture (specie alle donne, cui veniva tagliata la lingua prima del rogo per impedire raccontassero cosa avevano fatto i loro gli inquisitori …ma possiamo immaginarlo).

Oppure ci scordiamo delle costrizioni all’abiura a scienziati come Galileo, dell’opposizione alla scienza e all’educazione per tutti (se tutti possono leggere non c’è più bisogno di un sacerdote che interpreti la Bibbia). O ancora che alle donne è stata concessa (concessa ragazzi!) l’anima nell’anno giubilare 1300, o la simonia, le crociate contro gli infedeli (ossia il rovescio di quella cosa che oggi tanto ci indigna: la Jihad) e contro gli Albigesi (popolazione francese sterminata). O perché no, la distruzione dei templi pagani e delle loro effigi (ricorda forse qualcosa?!), delle antiche tradizioni locali, la conversione forzata dei popoli delle colonie. O magari gli scandali pedofilia coperti e occultati o i rapporti e le collusioni con la mafia (le mafie). E altro. Tanto, tanto altro ancora.

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Ecco, forse, ci piace proprio girarci dall’altra parte, dicendoci che fa parte del passato, la Chiesa ha chiesto scusa (c’è voluto qualche manciata di secoli) e queste cose non capitano più…! Meno male che gli archivi segreti vaticani si possono aprire solo dopo 100 anni: trucco molto intelligente. Chapeau.

Noi non siamo più ipocriti del popolino che andava a vedere la strega bruciare in piazza lanciandole cibo marcio, letame e pietre, ma poi viveva nella paura che l’Inquisizione potesse fare la stessa cosa a chiunque.

E con questa abitudine culturale abbiamo attraversato gli ultimi due millenni. Potremmo dire sia diventata genetica. E infatti si manifesta ancora oggi quotidianamente quando inconsciamente neghiamo o non vediamo. Siamo come degli innamorati che non vogliono vedere i segni del tradimento del partner.

Quante volte si sente dire «Sono cattolico non praticante»? Ecco, questa è la misura della nostra ipocrisia: se non vai a messa, non segui i precetti della Chiesa cattolica (sul cibo, sul sesso, sulla carità, sulla confessione, sul pentimento), non credi nei dogmi imposti dalla Chiesa cattolica e non li ritieni incontestabili e magari sei pure divorziato o omosessuale, be’, semplicemente non sei Cattolico. Sei cristiano …ma tieni presente che la tua Chiesa cattolica per queste cose, qualche anno fa, ti avrebbe scomunicato – alla meglio – o bruciato vivo (magari con qualche tortura di bonus per non farsi mancare nulla).

Paradossalmente, se noi (chi è cattolico) accettiamo questa ipocrisia di facciata, dobbiamo per coerenza anche accettare che la Chiesa ci prenda in giro professando carità e povertà e poi spenda le sue (nostre) risorse in beni di lusso e investendo in fabbriche di armi.

Così, date queste premesse, arriviamo a capire cosa c’entra tutto ciò col diritto.

La libertà religiosa è uno dei diritti fondamentali, riconosciuto anche dalla nostra Carta Costituzionale. Siamo abituati a considerare inviolabili le libertà di espressione, pensiero e credo, a considerarle incomprimibili. Ciò significa che prevalgono su tutto. Ma è davvero così? È davvero giusto che sia così?

Sarebbe giusto se il proprio credo dovesse essere sacrificato sull’ara di altri principi? Ad esempio, libertà religiosa o di pensiero, si possono arrestare quando la “ragion di Stato” lo richiede, quando l’Ordine Pubblico lo necessita o quando e se contrastano con altri diritti (o doveri) di pari rango costituzionale?

Esiste per esempio un problema sociale e giuridico nel nostro Paese (e in quelli continentali con radici giudaico-cristiane): gli immigrati di credo musulmano ritengono il Corano la loro legge, non solo religiosa, ma anche civile e penale. Questo rappresenta appieno la libertà di credo e di pensiero, ma si scontra ineluttabilmente col fatto che uno Stato non può accettare la prevalenza di norme estranee al proprio Ordinamento rispetto alle sue proprie norme fondamentali.

Ciò significa che le norme interne prevalgono su qualsiasi norma religiosa, nonostante venga garantita la libertà di culto. Quest’ultima viene semplicemente compressa nel nome di un bene collettivo qual è l’Ordine Pubblico (ossia, in questo caso, la garanzia che tutti i consociati accettino le norme statali come le uniche atte a regolari i rapporti giuridici fra i consociati medesimi e fra essi e lo Stato stesso).

Il ragionamento ci sembra banale. Ma se lo ribaltiamo sulle nostre radici culturali e religiose è ancora cosi? Siamo disposti ad accettare questa compressione? Il problema è annoso: gli Imperatori romani condannavano a morte i primi cristiani proprio per le stesse ragioni: essi non riconoscevano l’autorità imperiale (dello Stato) sopra quella religiosa.

Il caso prende spunto da un fatto semplice, banale, di cui non si è accorto nessuno. L’ennesimo del suo tipo, un atteggiamento che avviene da centinaia di anni nel “libero” Stato italiano.

Roma, 1 novembre 2015, Francesco Paolo Tronca, già Prefetto di Milano, si insedia quale Commissario straordinario della capitale. Nel primo giorno del suo mandato, fra le tante visite istituzionali, egli incontra il Papa. Ed è lì che accade quel piccolo gesto, che però significa tanto: fascia tricolore a tracolla, il Commissario di Roma si inchina al Papa.

Riflettiamoci.

Riflettiamoci ancora.

Riflettiamoci meglio.

L’inchino è un chiaro, palese e simbolico segno di rispetto, ma anche di “sottomissione”, specie se fatto a capo chino. Ora, dunque, noi vediamo un rappresentante istituzionale di uno Stato – quale è un Prefetto e quale è un Commissario – che si inchina al Capo di Stato di un Paese estero. Il quale è anche la più alta carica sacerdotale di un dato credo religioso.

Il problema è che la cosa ci sembra normale. Ma accetteremmo che accadesse la stessa cosa con un altro Capo di Stato? Oppure con un’altra autorità religiosa di un’altra confessione?

Cosa diremmo se un Commissario musulmano italiano si inchinasse al proprio Imam mentre indossa la fascia tricolore? Se siamo disposti ad accettarlo e a giustificarlo in nome della libertà di credo, di espressione e di pensiero, allora perdiamo il diritto di criticare un Berlusconi che bacia la mano di Gheddafi o altre cariche istituzionali (che dovrebbero essere super-partes), che nel tempo si sono apertamente schierate pro/contro fazioni o posizioni politico-ideologiche e religiose.

Il dato è che la libertà personale – sia essa declinata in qualsivoglia modo – trova il suo limite nella contemperazione dei principi, degli interessi e dei doveri. Chiunque svolga una funzione pubblica, dovrebbe avere il buon gusto di astenersi dal manifestare alcuni tipi di pensieri del tutto personali, che nulla attengono al proprio ufficio. Questo poiché egli rappresenta una collettività, laica.

Ma questo fatto la dice lunga sui rapporti Stato italiano-Vaticano.

Tali rapporti sono oggi regolati dalla peculiare disciplina dei cd. Patti Lateranensi del 1929 (che si compongono di Trattato, Concordato e Convenzione Finanziaria). Nel 1984 vi fu una sofferta revisione del Concordato. Da quella data i vescovi non hanno più l’obbligo di prestare giuramento al Governo italiano, ma lo Stato italiano ha l’obbligo di versare una quota dell’IRPEF allo Stato Vaticano (il famoso 8 per mille).

Che affarone!

I Patti sono anche richiamati in Costituzione, pertanto possono essere modificati in via unilaterale solo con la procedura aggravata. In più, essendo di fatto un trattato internazionale, non possono essere oggetto di referendum abrogativo.

Nei fatti dunque, c’è uno Stato che sovvenziona un altro Stato. È una sovvenzione di scopo: serve a garantire l’appannaggio dei sacerdoti, ma nessuno ha la garanzia (e controlla) che i fondi vengano usati a tale scopo. Nel tempo, la facoltà attribuita dalla L. n.222/1985 (disegnata sartorialmente sulle esigenze della Chiesa cattolica) è stata estesa ad altre confessioni.

Attualmente però vige ancora un meccanismo strano e perverso. L’attribuzione dell’8 x 1000 si basa sulla libera scelta del contribuente, che la esprime nella dichiarazione dei redditi. La legge però non ammette la mancata scelta: se non si opta, il gettito non destinato verrà ridistribuito alle altre confessioni (e allo Stato), secondo la percentuale determinata dalle scelte espresse. Ossia, di media il 50% del gettito 8 x 1000 non viene destinato in fase di dichiarazione, mentre circa il 35 % è destinato alla Chiesa Cattolica (e il 5% allo Stato!). Significa che la Chiesa avrà anche il 35% di quel 50% non destinato (cosa che intacca il principio di volontarietà).

Questo è il danno, la beffa è che l’8 x 1000 destinato allo Stato, spesso viene usato per restaurare beni immobili di carattere religioso (cattolico) o beni culturali in uso esclusivo alla Chiesa cattolica.

Poi c’è l’esenzione del pagamento delle imposte sui beni immobili ad uso “prevalentemente” religioso. Grazie a questo avverbio sapientemente introdotto nella norma, il Vaticano è praticamente esentato dal pagamento all’erario italiano per i propri beni.

Poi c’è l’immunità concessa al Papa, il che è comune agli altri capi di Stato. Solo che egli è anche definito figura “sacra ed inviolabile” (come lo era il Re), alla faccia dell’eguaglianza avanti alla legge. Ciò significa che il Papa non potrebbe mai essere perseguito (anche semplicemente imputato) per qualsiasi (qualsiasi) tipo di reato perpetrato sul suolo italiano (o nei confronti di italiani o dello Stato italiano). Nemmeno se colto in flagranza.

Questo fa da cornice all’attuale – l’ennesimo – scandalo legato alla Chiesa Cattolica. Forse dovremmo più stupirci di chi ancora si stupisce.

Non indigniamoci dunque per una fuga di notizie che riguarda il Papa, perché quando la fuga di notizie riguarda i fascicoli penali dei processi in corso, nessuno fa una piega. Magari indigniamoci per l’ennesimo scandalo IOR (Istituto per le Opere Religiose …RELIGIOSE) e per la distrazione delle donazioni fatte dai fedeli.

A proposito, la donazione è un contratto, che normalmente andrebbe fatto in forma solenne (dal Notaio), ma per le donazioni di modico valore può essere posto in essere per “donazione manuale” (con la consegna del bene). Nel caso specifico la donazione fatta a enti caritatevoli è una donazione modale (fatta con un onere a carico del donatario). Ciò comporta che chi riceve la donazione sarà tenuto eseguire un obbligo (in questo caso opere di bene verso i bisognosi) entro il limite del valore della donazione. Nel caso contrario sarà inadempiente.

Ricordiamo peraltro che, in quanto contratto, la donazione è annullabile per errore sul motivo o se il motivo erroneo è stato determinante per la donazione (ad esempio ti ho donato modalmente 10 euro ritenendo per errore che facessi la carità ai poveri!). Inoltre – e ben più importante – la donazione è revocabile per indegnità…

E – ancora più importante – indurre qualcuno a farsi donare del denaro facendogli credere che sarà destinato per uno scopo caritatevole, quando in realtà viene speso per altri – e ben più terreni – motivi,  potrebbe configurare tranquillamente il reato di truffa.

Insomma, quasi quasi una bella class-action non ci starebbe male… Ma d’ora in poi è forse meglio farsi firmare una ricevuta dal curato, che è cosa buona e giusta.

L’importante del resto, è cogliere l’attico fuggente.

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