Per il lotto n.1 si parte da una base di Repubblica. Chi offre di più?

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Scardinare il sistema da dentro: soddisfatti o ritassati

di Gianluigi M. Riva

L’attualità parla di progetti di riforma costituzionale. Chi è contro, chi a favore. Chi “non sa, non risponde”.

La prima domanda da porsi è: ho mai letto la Costituzione? Messa così suona come un banale quesito accademico. Parafrasiamo: ho mai letto le norme essenziali che regolano i miei doveri, i miei diritti, le mie libertà e i poteri di chi mi governa? Con questa chiave di lettura, la questione è più affascinante. Più inquietante laddove la qæstio si trasformi in: chi mi governa (chi ci governa?!?) come può (e quanto può) modificare queste regole?

Nonostante una burrascosa origine, la Carta fondamentale che regola l’Ordinamento italiano è illuminata: rigida, ma modificabile. Il fulcro sta nei Principi Fondamentali, dall’art. 1 al 12; essi sono immodificabili, il resto sì. Dove sta scritto? Da nessuna parte.

Già perché buona parte dello zoccolo duro della nostra Costituzione è dato dall’interpretazione. Per intenderci, l’interpretazione è quella cosa che fa sì che la stessa parola [cittadini], assuma il significato di “chiunque”, all’art. 3, e di “coloro che hanno la cittadinanza”, all’art.4.

Ma andiamo per gradi. Così recita il buon vecchio art.1: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».

Il “Vernacoliere”, la venderebbe come “barzelletta”. Altre carine potrebbero essere – tra le tante – l’art.35, il 9 c.2 o il 52 c.3 (che invero è più paradossale). Con meno irriverenza, possiamo dire che  sono lemmi di principio che oggi appaiono un poco fuori dal tempo (e soprattutto dalla realtà).

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Focalizziamoci ad esempio sul dato Repubblica: la maggior parte di noi è abituata a questo dato. Ci sfugge che molti dei nostri genitori sono nati a cavallo del passaggio tra Monarchia e Repubblica e molti nostri nonni hanno votato questa scelta. La storia – specialmente ufficiosa – ci insegna che fu una scelta fatta sul presagio di una guerra civile. Molti ancora adombrano l’ipotesi di brogli. Alcuni paventano l’intervento  verosimile  di diversi servizi segreti stranieri. Di sicuro c’è che il parto repubblicano è stato travagliato.

Ai più sfugge che, proprio a causa di contestazioni all’indomani della chiusura delle urne, la dichiarazione della Repubblica fu rimandata… e mai più fatta! Come si dice: chi ben comincia…
Un altro dato interessante è che furono esclusi dal voto milioni di cittadini. Ma d’altra parte quel “la sovranità appartiene al popolo” non era ancora stato vergato. Noi invece, che siamo popolo sovrano (i goliardi ci mettono l’apostrofo), come esercitiamo questo potere?… Dai risultati pare male.

Ma per fare un esercizio di stile, potremmo leggere le regole con occhi nuovi. Allora vedremmo che, anche al netto dei primi 12, tutti gli altri articoli sono modificabili. Sforzandoci un po’ di più potremmo anche noi “interpretare” e così potremmo sostenere che (art. 11) l’Italia ripudia sì la guerra, ma solo se «strumento di offesa alla libertà di (altri) popoli e comemezzo di risoluzione – delle controversie internazionali». Sono un po’ di condizioni da soddisfare. Poi in fondo l’art. 78 non ci dice che la deliberazione dello stato di guerra (durante il quale le libertà costituzionali sono sospese ad libitum) debba essere motivata. A ben vedere lo si sarebbe potuto fare contro la Mafia. Strano non sia venuto in mente a nessuno, eppure basta la maggioranza semplice. Dei presenti!

Cambiamo esercizio: a cosa siamo abituati? Libertà di espressione, pensiero, movimento, associazione ecc.; il Parlamento “fa” le leggi (117), Roma è la Capitale (114), capacità giuridica e nome (22) e tanto altro. Tutto previsto dall’art. 13 in poi, ergo: MODIFICABILE.

Ma almeno i primi 12 no (tralasciamo sia “solo” un’interpretazione della Corte Costituzionale – un esempio di conflitto d’interessi ?!-). Sicuri? Riprendiamo l’art. 1 e poi leggiamo l’ultimo degli articoli, il 139, ossia la ciliegina. «La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale». Ottimo. Peccato che l’art. 139 (e tutti gli altri) sì! Ora che siamo più rassicurati sulle nostre libertà, forse leggeremo con più interesse quei 139 articoli.

Per il resto rimane solo un vecchio adagio, ormai cacofonico, che rivisitato (rectius: rottamato)  suona pressappoco così: «Berlusconi o Renzi, purché non penzi!».

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