Quando i problemi concreti superano quelli etici
di Gianluigi M. Riva
Essere (umano) o non essere (umano): questo il Diritto.
Viviamo in mondo che ci cambia attorno ogni giorno, senza che ne accorgiamo. E con lui cambiamo anche noi. Le nostre abitudini, il nostro modo di vedere le cose, persino il nostro sviluppo cerebrale, stanno radicalmente mutando la nostra evoluzione. Sì, l’evoluzione della specie.
Fermiamoci un momento a pensare: cinque anni fa che tecnologia utilizzavamo? …anno 2010: c’era il 3g? Qual era la capacità degli smartphone? Che tipo di sincronizzazione esisteva fra pc, mail, apps e supporti fisici? E noi come li usavamo? Che accesso avevamo a questa tecnologia?
…e 10 anni fa?!
Eh già, il mondo gira. E lo fa veloce. Ma se facciamo il ragionamento inverso, proiettandoci nel futuro di 5, 10, 30 anni o 50 anni, cosa riusciamo a vedere?
È difficile immaginare il futuro, specie oggi, dove l’implementazione delle nuove tecnologie è esponenziale (così come la crescita demografica). Lo si capisce che è difficile guardando Star Trek (I serie) e Blade Runner, dove – pur nella lungimiranza fantascientifica – gli autori e gli scenografi avevano proiettato il proprio mondo nel XXII secolo, riempiendo di grandi e analogicissimi bottoni colorati i futuri computer di bordo.
Be’, pensare non costa niente e immaginare è sempre un buon esercizio, quindi proviamoci.
Da qui a cinque anni le cose cambieranno un pochino, ma senza stravolgimenti. Ci saranno occhiali e orologio digitali programmabili, stampanti 3D domestiche, computer di casa, tv internet ed i primi ologrammi. Ci sarà IoT (Internet of Things) che permetterà di connettere tutto (TUTTO) ad internet e programmare tutto ciò che ci circonda.
I supporti fisici, come televisore, cellulare o computer, inizieranno a sparire. E con loro la nostra vecchia vita.
Ma se guardiamo più il là, la vita – quella nuova – sarà un elemento centrale. E centrale saranno questioni etiche e regole. Anzi, forse sarebbe il caso di porsi ora queste domande ed iniziare a strutturare un insieme di norme (un nuovo sistema di Diritto), che – con una nuova concezione – inizi a regolamentare il mondo di domani.
Quanto appena detto riguardo alla prossima ventura era tecnologia è poca roba. Per capirlo, parliamo del presente. Della realtà. Esistono gli avatar: ossia robot meccanici collegati cerebralmente ad un individuo, che possono replicare i movimenti meccanici di questi, come ad esempio camminare. Esistono strumenti medici ad impulso elettromagnetico (DBS: Deep Brain Stimulation), che possono cambiare l’umore o influire sui pensieri. Esistono le macchine con autopilota robotico (software, perché il robot del futuro è soprattutto immateriale) che non sono ancora in commercio, solo perché non vi è una “copertura” giuridica. Ossia il mondo non è ancora pronto. Esiste anche il metallo solido-liquido, ossia un insieme di micro-schegge atomiche di magnetite, che in base a stimoli elettromagnetici, assumono qualsiasi forma solida (e la possono dunque anche mutare). Esistono i nano-robot medici in grado di penetrare nel corpo e curare le cellule o gestire la somministrazione di medicinali nelle sole zone che lo richiedono. Tutta roba sperimentale certo, eppure c’è già.
Ma poi c’è Neil Harbisson, inglese affetto da acromatopsia (incapacità totale di percepire i colori), che si è fatto installare un software nel cervello, collegato ad una webcam installata sul cranio, che trasforma i colori in frequenze sonore. Egli nel 2004 è riuscito ad ottenere dal governo di Her Majesty, l’autorizzazione ad esibire sui documenti ufficiali il supporto cibernetico. Così Neil, oggi, “vede” tramite le frequenze sonore anche gamme di colori che l’occhio umano non percepisce. E nel futuro potrà implementare sempre di più le sue capacità, grazie all’aggiornamento del software. In più ha costituito una fondazione con l’obbiettivo di applicare la tecnologia cyborg all’essere umano. Infatti il suo non è l’unico caso e altri prodigi dell’ingegno e della tecnica possono oggi colmare (e superare) altri tipi handicap.
Ed eccoci al primo nodo focale.
Uno dei cardini del Diritto continentale (Civil Law) è l’indisponibilità di alcun diritti, a tutela di beni superiori. Questo significa, ad esempio, che non ci possiamo decidere di farci tagliare una gamba per bellezza. Lo si può fare, solamente se è necessario ed indispensabile a livello sanitario.
E lo può essere nel caso di handicap, congeniti o postumi. Così, ci si potrebbe far tagliare la gamba per metterne una “bionica” – proprio come il telefilm degli anni ’70 –, ma solo se la nostra gamba non funzionasse.
Questo però porterebbe ad una diseguaglianza fra chi è sano e chi no. Questi ultimi potrebbero godere di potenzialità aggiuntive rispetto a chi non ha problemi sanitari.
La cosa porterebbe ovviamente a ridisegnare i confini dei diritti disponibili, a causa della discriminazione dei sani e della disuguaglianza di accesso. Ma a che costo? Se la libera disposizione del corpo diventasse un diritto disponibile, tutti coloro che se lo potrebbero permettere – nel futuro come nel presente – potenzierebbero il proprio corpo.
Ma ovviamente non tutti potrebbero permetterselo. E questa cosa porterebbe ad enormi diseguaglianze sociali (non che non ci siano già nel nostro civilissimamente democratico mondo di pari diritti!).
Andiamo un po’ in là con la fantasia. Da componenti meccaniche/bioniche si passerà agevolmente a componenti software. Di più: a componenti ibride bio-robotiche, con tessuti organici in interazione con elementi robotici.
Non è poi così difficile da immaginare: nano-robot che interagiscano con le cellule, impedendo di invecchiare, di ammalarsi, di assimilare troppo (ingrassare) o troppo poco (massimizzazione dei nutrienti). Oppure organi ibridi che sopportino lo stress di una vita sregolata e malsana. Pensiamo a polmoni che non subiscano danni da fumo. Una manna per le multinazionali del tabacco: «Bambini, fumate che fa bene!».
E chi vuole due cuori, potrà averli? E chi vorrà avere tante braccia come la Dea Kalì…?!
Ma pensiamo anche alla possibilità di un salto evolutivo-intellettivo: integrando chip e software nel cervello, in modo da potenziarne le facoltà e la capacità cognitiva. Software che potrebbero anche permettere di connettersi al resto dell’umanità, in una sorta di mente collettiva ed alveare.
Gli scenari possibili e futuribili sono tanti. Dalla perdita della singolarità alla condivisione della conoscenza per tutti (coloro che ne avranno accesso) direttamente nella mente. Forse non ci sarà più bisogno di studiare, o di apprendere uno sport, perché i neuroni specchio interagiranno con programmi software che scaricheranno direttamente nella loro memoria gli esatti movimenti e le necessarie informazioni.
Fra tutti questi possibili scenari, il Diritto – e l’etica – si pongono come confini. Bordi ancora labili e incerti, che dovranno disegnare la nuova società e segnare regole chiare e precise.
Pensiamo ad esempio alle varie Carte fondamentali dei Diritti dell’Uomo. In esse, la definizione di essere umano non è data, come non lo è in nessun ordinamento. …Perché si dà per scontato cosa sia un essere umano! Ma in un mondo di ibridi, chi – o cosa – sarà ancora umano? Quale sarà il discrimine, quale la percentuale di roboticità o computericità accettabile?
E poi chi avrà diritto ad accedere a tali tecnologie e secondo quali criteri?
Le domande rimangono tutte aperte per ora. Come lo sono sempre rimaste nelle evoluzioni sociali dell’uomo. Il Diritto non ha regolato l’uso di internet o degli smartphone prima che esistessero. E infatti ci sono molti problemi inerenti a questi ambiti. Problemi che oggi ci sembrano banali e risolvibili.
Forse avremo la stessa sensazione quando dovremo porci il problema se garantire la vita ad un essere pluricentenario semi-umano, che non vuole morire.
Già, perché nessuno vuole morire. …E vaglielo tu a spiegare a Madre Natura e alle risorse limitate!
Forse, per un volta, sarebbe bene che il Diritto prevenisse i bisogni della società, al posto di inseguirli. E sarebbe anche bene che ne evitasse gli errori prevedibili.
Forse sarebbe bene che scienziati e governi, plachino la sete di ricerca e di potere, dandosi prima di ogni altri dei confini da non superare.
Perché c’è anche un altro piccolo dettaglio da considerare: tutto quanto detto qui è solo una parte dello scenario. E sì, c’è anche da tenere conto dell’intelligenza artificiale (materiale: cyborg, o immateriale: software). Ma anche dei robot senzienti e non – e dei loro rapporti giuridici fra sé medesimi e gli esseri umani). Come c’è anche dell’eugenetica e della possibilità di intervenire direttamente sul DNA per modificare (o creare) le caratteristiche umane. Ma di questi altri scenari ne parleremo in un prossimo articolo.
Per ora, rassegnamoci al fatto che tutti vogliamo tutto, ma non c’è n’è abbastanza per tutti. Diventeremo l’homo roboticus o l’homo fagocitans?!