Ci ho provato. Ho tentato in tutti i modi di avvisarlo che la riforma della Giustizia Civile non funzionerà. Niente. Non ci sono riuscito. Il decreto sarà convertito, magari con qualche piccolo emendamento, e ci troveremo davanti all’ennesima, inutile, legge che allunga i tempi delle cause oppure ne scoraggia l’inizio. Perché, in verità, lo scopo è sempre stato questo. Scoraggiare la gente a fare causa. Aumentandone i costi a dismisura (ad es. contributo unificato) oppure creando quanti più ostacoli possibile. Diritti questi sconosciuti. Prepotenti al potere. Eppure sarebbe bastato poco. Bastavano tre parole: processo del lavoro.
Sarebbe stato sufficiente applicare a tutti i processi civili le norme previste dal Codice di Procedura in materia di lavoro. Processo snello, veloce, atto introduttivo e risposta avversaria. Tutte le prove sul tavolo del Giudice alla prima udienza. Nessuna memoria. Comparizione obbligatoria delle parti per esperimento del tentativo di conciliazione. Un rinvio, massimo due, per escutere testi e per prove. Discussione orale e decisione. Così si poteva tentare di contenere ad un anno la durata di un processo civile di primo grado.
Se l’idea fosse stata almeno presa in considerazione, si sarebbe potuto valutare l’apporto di qualche aggiustamento, sebbene, a mio modesto parere, il sistema processuale giuslavoristico sia quanto di meglio abbiamo di pronto per risolvere o ridurre notevolmente il problema della lentezza dei processi civili. E invece no. Ci siamo inventati la negoziazione assistita. Serviva la rivoluzione ed abbiamo fatto un comizio. La montagna ha partorito il topolino. In sei parole: che Dio ce la mandi buona.