Osservatorio legale (10/03/2015)

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di avv. Nicola Bufano

Cortesia ed equità

Qualche settimana fa, la sezione fallimentare del Tribunale di Milano ha condannato una società a pagare € 5.000,00 perché il suo legale aveva omesso di depositare nel fascicolo di causa la copia cartacea di un atto processuale (c.d. “copia di cortesia”).

Eseguito il deposito telematico del documento, unico previsto per legge, l’avvocato ha ritenuto aver esaurito ogni dovere professionale.

Il provvedimento ha suscitato un vespaio di polemiche ed una levata di scudi a difesa della classe forense, ormai oberata di incombenze di ogni genere e specie.

Partiamo da un piccolo presupposto: è vero, la copia di cortesia non è obbligatoria per legge.  Dall’entrata in vigore delle norme istitutive il processo civile telematico, in particolare dal 01.01.2015, è obbligatorio depositare quasi tutti gli atti endoprocessuali in via telematica. Nulla viene detto in merito al deposito di fantomatiche copie di cortesia. E ci mancherebbe: perché abbiamo il processo telematico se poi dobbiamo usare ancora la carta?

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In realtà, le cose non stanno proprio così. La maggior parte degli atti può essere depositata in via telematica, ma, successivamente, ne viene quasi sempre richiesta la stampa e/o il deposito cartaceo. Ad esempio, in materia di separazione e divorzio, il ricorso può essere depositato telematicamente insieme ai documenti, ma questi ultimi devono essere consegnati anche in originale cartaceo presso la Cancelleria, prima della data dell’udienza.

Stessa cosa per i titoli delle procedure esecutive ed altri ancora.

La condanna, quindi, non mi stupisce. Mi preoccupa.

Sono abituato a sentirmi chiedere il deposito di copia di cortesia: i Giudici dicono di non potersi leggere tutto in formato telematico, i cancellieri non vogliono stampare gli atti e lamentano scarsità di risorse, i protocolli di comportamento, che non hanno più valore della carta su cui sono scritti, e la coscienza che m’impone di farlo per cortesia, timore del Giudice o semplice piaggeria.

Siamo onesti.

La legge non m’impone di farlo, ma un Giudice ben disposto è meglio di un Giudice arrabbiato.

Nel caso di specie, si è fatto tanto rumore per nulla: la sezione fallimentare ha già reso noto di non voler porre in esecuzione il provvedimento ed il Presidente Pomodoro ha già reso edotta la classe forense della Sua contrarietà.

Una delle cose che ho notato è che nessuno ha raccontato il caso.

Un fallimento. Uno dei creditori deposita domanda di ammissione al passivo per oltre 3.500.000,00 di euro. Roba da far saltare il banco. L’insinuazione viene respinta, probabilmente su indicazione del Curatore,  in quanto le fatture sottese al credito azionato sono ritenute insufficienti a dimostrarne l’esistenza.

Il creditore promuove opposizione allo stato passivo e viene sconfitto.

Nulla di che, se non fosse per il valore della causa ed un inconsueto spirito punitivo che si concretizza nell’ultimo contestato capoverso.

Una decisione anomala, conoscendo, tra l’altro, l’indiscussa professionalità di chi l’ha scritta.

Ritengo si tratti di una sentenza esemplare. Per questo, assunta agli onori della cronaca. Quello che mi preoccupa non è una sentenza che fa scalpore, ma altre mille silenziose.

L’idea che mi sono fatto è che si vogliano rappresentare alcuni principi non scritti.

La legge non c’entra. È un mero strumento. Tanto che la sentenza rimarrà lettera morta.

Norme non scritte, dimenticate. Regole di correttezza, educazione, senso civico.

Sul deposito di copie di cortesia e altri doveri della classe forense in quanto tale.

Quello che mi preoccupa è il modo: se per far tornare in auge la cortesia serve lo scalpore mediatico di un provvedimento di dubbia equità, qualcuno potrebbe farsi prendere la mano.

La cortesia non è prerogativa di tutti gli avvocati così come l’equità non lo è di tutti i Giudici, e chi nasce tondo difficilmente muore quadrato. Nel frattempo, però, potrebbe andarci di mezzo chi cerca di esercitare la professione al meglio delle proprie possibilità.

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