di Roberto Ciambrone
L’allenamento in bicicletta mi consente di riflettere. Almeno in salita ed in pianura, perché in discesa, ovviamente, bisogna tenere occhi e mente sul sentiero, perché in caso contrario si verifica empiricamente che gli unici alberi che si spostano sono quelli che coadiuvano l’apprendista stregone nello stupendo episodio di Fantasia.
Le riflessioni si concentrano su pensieri pregressi, che spesso analizzo parlando da solo, stupendo i, non rari, ciclisti che mi sorpassano, ma anche su situazioni che osservo e che elaboro successivamente.
Pedalando, con fatica, tra boschi e pianure coltivate ho notato il totale abbandono dei primi e la scarsa cura delle seconde.
Il bosco una volta era fonte di risorse per gli abitanti dei villaggi vicini: con le castagne si faceva la farina, la legna caduta, le foglie secche e i ricci venivano utilizzati per alimentare i camini, così come gli alberi caduti. Tutto ciò senza bisogno di legioni di addetti al corpo forestale, perché queste attività facevano parte del ritmo quotidiano della gente del posto.
Ora vedo solo degli interventi localizzati di taglialegna su appezzamenti specifici, mentre il resto del sottobosco non viene ripulito, così come gli invasi dei torrenti e ciò, tra l’altro, contribuisce ad alimentare gli incendi boschivi ed il dissesto idrogeologico.
In pianura mi pare che, a parte l’ammodernamento dei mezzi meccanici, siano invariate le logiche di numerosi decenni fa e molto spesso si notano edifici rurali in completo abbandono.
Sicuramente è una conclusione approssimativa, ma l’impressione è quella di un attività che risulti più una condanna che un mestiere.
Ma forse qualcosa sta cambiando e, come spesso accade, il problema genera delle opportunità.
Tempo fa ho letto di un sindaco di un paese della provincia a Sud di Milano che ha negato la variazione di destinazione d’uso per dei terreni da agricolo ad industriale, perché, oltre a non avere budget per l’urbanizzazione dell’area, riteneva che non ci fosse necessità di altri capannoni che difficilmente sarebbero stati occupati. Su quei terreni invece è poi stata intrapresa un’attività di coltivazione intensiva della colza.
Ho anche inteso che sino ad un paio di vendemmie fa, la manodopera stagionale fosse esclusivamente straniera ed avventizia, mentre più di recente si sono presentati lavoratori italiani in mobilità e/o in cassa integrazione e che per alcuni di questi siano sorte delle opportunità successive alla conclusione della vendemmia per i lavori di manutenzione per i quali sono richieste competenze da carpentiere, muratore, idraulico, elettricista ed altro.
Ancora più di recente sono state pubblicati risultati di inchieste che segnalano l’avvio di numerose aziende che si occupano proprio di agricoltura, spesso con lo scopo di introdurre nuove tecnologie ed il rilancio di attività già esistenti da generazioni, ma che, in un mondo oramai dominato dalla new economy, languivano tristemente.
L’economia è ferma e per farla ripartire occorre guardare anche al troppo spesso dimenticato settore primario in cui il Paese vanta tradizioni millenarie.
La terra è notoriamente bassa, ma a volte per alzarsi verso una direzione nuova bisogna prima chinarsi.
Dopo aver riflettuto.