di Massimo Bertani
Ci muoviamo tra due estremi: Quadrato nero su sfondo bianco di Malevich e Forma libera di Pollock. Dialettica [1] vorrebbe che noi, passando dagli estremi giungessimo ad un livello superiore. Solo pochi, e iniziati per giunta, ci riescono. Ed è una via di sofferenza: chi arriva non è lo stesso che è partito.
A noi, almeno per il momento, non resta che accettare l’ impenetrabilità degli estremi e vivere nella via di mezzo, l’unica che mai ci condurrà a Roma.[2]
In questa posizione ci è possibile alleviare l’attesa della scomparsa attraverso qualche più o meno profonda esperienza (affetti, brame insaziabili, dolori insopportabili, gioie assolute ecc.) e qualche astuto stratagemma [3].
Nel nostro essere sballottati tra gli estremi dell’ ordine e del caos assoluti, la misurazione del mondo nella sua accezione più generale è uno di questi astuti stratagemmi.
Sopportiamo l’attrazione del caos e sfuggiamo al rigore, ma sarebbe più corretto dire al rigor mortis, dell’ordine assoluto, misurando in centimetri o metri, pesando in chili o grammi e soprattutto contando i soldini nelle tasche e misurando le cose e noi stessi per loro tramite.
Delle tre funzioni del denaro, misura, mezzo di scambio e riserva di valore, quella della misura è per molti la più scontata. Proprio perché scontata, è la funzione meno indagata, quella sulla quale vengono poste meno domande.
Eppure, vale la pena, interrogarsi sul senso del denaro come misura e soprattutto su che cosa si misura, per suo tramite.
A meno che non si voglia affermare che l’essere “reale” del metro riposi sulla barra di platino-iridio conservata presso l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica di Torino [4], proprio la funzione di misura del denaro afferma il suo essere un astuto stratagemma e ben altro rispetto ad una merce o ancora più semplicemente una “cosa”.
Il riflettere sulla realtà della misura ci aiuta a comprendere di quale impasto (tra res extensa e res cogitans) è fatta la realtà, che è unica e indivisibile. Ma questa è materia da filosofi e a noi contare i soldini nella tasca serve a mettere ordine nella grande confusione del mondo e soprattutto a mai usare due pesi e due misure.
Cosa misura il denaro? Lo sanno anche i bambini: il valore. Il valore delle cose, di noi stessi, delle idee, della nostra vita. Più precisamente il valore economico [5] che, si badi bene, è ovunque. Ovunque al punto che si fatica a cogliere altro valore. Detto meglio: di altri valori si parla, di valore economico si fa quotidiana pratica.
Nel valore economico, che è quantità di denaro, procediamo a mettere ordine nel mondo ed a creare corrispondenze tra di noi e tra noi e le cose: le scarpe da 200 euro come due camicie da 100 euro, una camicia da 100 euro come una cena in un ristorante di lusso e così via…
Il valore economico non esaurisce il mondo. Serve per rimanere in questo mondo sicuramente imperfetto ma sicuramente vivibile. Serve per mettere un po’ d’ordine.
Evitiamo l’ordine assoluto di Malevich e l‘assoluto caos di Pollock, ma camminiamo pur sempre in una foresta molto simile a quelle, pur sempre ambigue, ritratte da Savinio.
In qualche sperduta radura pochi di noi si imbatteranno nei giocattoli dell’infanzia e probabilmente nel senso della vita. Per molti di noi sarà comunque possibile continuare a vivere godendo della «placida trasparenza di erbari, di ricerche, catalogazioni». [6]
[1] Non la lingua lunga ma l’arte di passare dagli estremi, insomma Hegel e quella roba lì, tanto per intenderci. [2] Cito a memoria da Brecht. [3] Con buona pace del Poeta che «Si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi.» [4] Da Wikipedia [6] Mario Bortolotto, La Nuova Musica, il tempo e la maschera, in Fase seconda, Studi sulla Nuova Musica, 1969 Einaudi.