«… dalla via della Posta si passa a destra nella piazza degli Affari, centro dell’omonimo quartiere sorto tra il 1928 e il 1940 in base a progetti eseguiti solo parzialmente…».
Nel centro di Milano c’è Piazza Affari: una delle piazze più brutte del mondo. Limitata sul lato sud da un edificio in stile retorico razionalista disegnato da Emilio Lancia e al lato nord da Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa Italiana, con la sua imponente facciata marmorea sovrastata da un timpano sorretto da quattro gigantesche colonne.
Al centro il “dito di Cattelan” cioè L.O.V.E (Libertà Odio Vendetta Eternità) marmorea mano tesa nel saluto romano alla quale sono state spezzate o si sono consunte tutte le dita ad eccezione del dito medio.
Nonostante l’irriverenza del “dito di Cattelan” si erga verso l’edificio disegnato da Emilio Lancia (con annesso Banco di Desio) i più leggono la provocazione diretta contro il palazzo della Borsa: atto di ribellione, insofferenza e protesta contro il mondo dell’economia e della finanza etc. etc.[1]
In questo 2013 non mi è ben chiaro se sia più provocatoria l’opera, divenuta nel frattempo meta turistica, di Cattelan o le figure allegoriche sul tema del lavoro dell’uomo, poste alla sommità e alla base delle colonne di Palazzo Mezzanotte. Non mi è più chiaro chi provochi che cosa e in fin dei conti le provocazioni che diventano autoreferenziali, e meta turistica, si annullano.
E a ben vedere nella retorica rappresentazione di tutto ciò che dovrebbe essere, Piazza Affari non è più né una piazza né un non luogo. Piazza Affari è solo un posteggio di automobili.
Quel posto lì ha però una sua autoctona popolazione. Popolazione sughero che ha imparato a galleggiare negli alti e bassi del mercato, che si è conformata ad ogni visione del mondo nel supremo interesse della propria eternizzazione.
Popolazione ancora dominante ma assediata non dalla “populace” (che la populace ne se mele pas de raisonner) ma da un emergente sentire comune. Un tarlo che silenziosamente intacca le certezze dei piani alti di quella popolazione. Una goccia che giorno dopo giorno scava nelle certezze granitiche e si insinua nei gesti più banali: accarezzare un figlio, parlare con un amico, fare quattro passi a piedi.
Le élite diventano giorno dopo giorno sempre più elitarie non per effetto di elevazione che seleziona, ma per effetto di un cerchio che si stringe, di una probabile imminente resa dei conti. La sicumera trasformata in incertezza, il coraggio in paura, la testa alta nello sguardo basso che sfugge alle proprie responsabilità.
La crisi lede le pareti divisorie delle componenti sociali, distrugge le certezze, insinua il dubbio, stabilisce l’apprensione, l’ansia, la reciproca insofferenza. Per essa regna l’agitazione e l’attivismo mortuario al posto della comprensione, la dispersione al posto della concentrazione.
Immanuel Wallerstein in un articolo sul Manifesto del 5 agosto 2011 scriveva: “La posizione ufficiale quasi dappertutto è che l’economia-mondo presto si riprenderà, se solo facciamo questo o quello. Ma il fatto è che nessuno – né i governi, né le le megabanche e nemmeno gli economisti coi paraocchi – ci crede davvero”.
Se solo facciamo questo o quello: e tutti hanno una ricetta, e tutti la dicono e giorno dopo giorno appare sempre più difficile incidere sulla realtà. I fatti vengono ripercorsi a ritroso cercando di individuare connessioni di cause ed effetto ma la realtà non sopporta l’applicazione del metodo.
Se piazza Affari non fosse un parcheggio potrebbe essere la piazza dove l’autoctona popolazione, oggi non amata e assediata, potrebbe ritrovare il coraggio per articolare un discorso di una qualche profondità strategica. Se piazza Affari non fosse un rettangolo chiuso tra due retoriche e con al centro una provocazione potrebbe esser la piazza dove gli assedianti potrebbero imparare a disinnescare l’ordigno. Insomma se Piazza Affari non fosse quello che è potrebbe essere una piazza.
[1] E così Cattelan l’artista vendica Wittgenstein il filosofo messo in difficoltà da Sraffa, l’economista che gli mostrava il tipico gesto napoletano delle dita di una mano sfregate sotto il mento…
Così felice di trovare informazioni così interessanti! Grazie!