Il caldo e l’umidità all’aeroporto di Colombo erano insopportabili. In mezzo ad un’umanità vacanziera e smutandata, Riccardo Schicchi si aggirava con lo sguardo perso, pantaloni lunghi neri, giacca grigia e camicia bianca.
In mano stringeva una micro telecamera di ultima generazione ed era accompagnato da una donna (Eva Henger dicevano gli informati) che indossava un vestito bianco di cotone arricchito di pizzi.
Ho avuto modo in una settimana di vederlo altre due volte sempre in pantaloni lunghi, giacca, camicia bianca e l’inseparabile telecamera. Più che il re del porno mi è parso uno fuori posto, mansueto e malinconico.
Adesso che è morto, scrivono che ha «Sdoganato il porno trasformandolo in un business miliardario». Sarà… Ma io penso che è nell’essenza del porno posizionarsi all’interno dei confini del concepibile/concedibile, come il flipper al bar dell’oratorio e soprattutto penso che lo sviluppo del business sia connaturato al porno come a tutto ciò che mi circonda.
La sua meccanica ripetitività ne fa un prodotto da fase industriale del capitalismo. Quella, tanto per intenderci, della “Classe operaia va in paradiso” con Gian Maria Volonté al tornio che ritma la produzione ripetendo: «Un pezzo un culo, un pezzo un culo, un pezzo un culo…».
Il porno è la vera riduzione dell’attività erotico sessuale a “mecanica secretio seminis”. E il fatto che Jessica Rizzo sia risultata più efficace di intere generazioni di preti nel favorire questa riduzione va a suo personale demerito e riscatta le intere generazioni di preti e il loro ben predicare e il loro mal razzolare.
Il merito di Schicchi è dello stesso ordine di quello di Giovanni Rana. Meriti entrambi incastonati nel superiore ordine del profitto. Rana lo ha realizzato con la pasta che sembra fatta in casa, Schicchi con la creazione di due personaggi, Cicciolina e Moana, che sembravano poter emergere dall’asfittico ghetto dell’hardcore. Personaggi, si dirà, dotati di loro, ma sui quali Schicchi ha comunque impresso la riconoscibilità del proprio marchio di fabbrica.
Lo sforzo di Schicchi andava in due direzioni finalizzate ad emancipare il proprio prodotto dal “nocciolo duro”, meccanico e ripetitivo, dell’hard. Da un lato, in molti suoi film, ad esempio in “Cicciolina e Moana ai mondiali”, creava contesti di trama nei quali affogare il “nocciolo duro”. Dall’altro, ha cercato di elevare, nobilitare il suo lavoro come prodotto artistico e di sintonizzare il suo discorso a livello di rivendicazione politico libertaria.
Sicuramente ha raggiunto risultati in termini di notorietà e profitto, ma dal punto di vista del riscatto del porno sul fronte dell’artistico e del liberatorio ha fallito…
La legge del profitto ha reso necessario una iper produzione che ha reso a sua volta sempre più poveri, fino a ridurli al semplice titolo, i contesti nel quale affogare il “nocciolo duro”. E la fondazione dei vari partiti del sole e dell’amore ha suscitato da un lato scalpore ma ha dall’altro ulteriormente cristallizzato e ancorato Cicciolina e Moana al ruolo di attrici porno. Insomma, Cicciolina parlamentare in tailleur non si è emancipata dal porno ma ne ha rappresentato il climax.
Riccardo Schicchi possedeva una sensibilità artistica. Non la sensibilità di un“cultore della bellezza” come lo definisce oggi Rocco Siffredi, un’altra delle sue creazioni più riuscite, ma nel saper imporre un suo marchio di fabbrica alle sue creazioni che erano uomini e donne in carne e ossa.
In questa attività Schicchi si è misurato con successo con Jeff Koons, uno dei più quotati artisti contemporanei. Koons è riuscito a dimostrare la sovrapponibilità del circuito dell’hardcore internazionale con quello internazionale dell’arte contemporanea. Ma nell’esaltazione dell’opera Cicciolina ha ricercato una platealità stucchevole e sostanzialmente banale.
«… Cicciolina per me è la Vergine Eterna che può cancellare la colpa e la vergogna dalla vita. In nome di questo è il grande liberatore…» ha dichiarato Jeff Koons. Alle ridondanti parole dell’ artista dalle quotazioni milionarie Schicchi ha contrapposto la nuda verità: «Quello che Koons non aveva capito è che Cicciolina non sarebbe mai stata una “sua” opera, perché era una mia opera».
Sit tibi terra levis.