21/05/2013 – Le meravigliose mani di Hitler

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Nel maggio 1933 uno sfiduciato Jaspers chiedeva ad Heidegger – da poco nominato rettore dell’Università di Friburgo –  come fosse possibile che un uomo così privo di cultura come Hitler potesse governare la Germania. La risposta di Heidegger fu immediata e sconcertante: «La cultura non c’entra niente. Guardi invece le sue meravigliose mani».

Non ci è dato sapere cosa sia rimasto  delle meravigliose mani di Hitler, della Germania e dell’Europa intera nel fondo del Führerbunker.

Non ci è dato nemmeno sapere che cosa rimanesse  a Wittgenstein,  piegato in una trincea, di tutta quella «intensa e appassionata ricerca culturale» di quell’«ambiente irrequieto di filosofi, economisti, matematici, storici, logici, come Russel, Moore, Keynes, Strachey e più tardi Ramsey e Sraffa, che operavano un rifiuto delle ortodossie dominanti nella filosofia, nell’etica, nella teoria della società , nell’economia, nella religione negli atteggiamenti del costume…».1

L’incapacità  nel cogliere il contesto, cioè il generatore di senso, e il riferirsi superficialmente al singolo evento è la caratteristica del pensiero massmediatico contemporaneo. E’ una pratica di consumo dell’oggetto di riflessione che si eternizza in un circolo vizioso: chiacchieriamo  delle mani di Hitler mentre ci chiudiamo alle spalle la porta blindata del Führerbunker.

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Il mondo dei social network, la cui profondità di analisi spesse volte si riduce nel chiosare la realtà secondo una logica soggettivistica, «(io parlo di me – scriveva Kraus – e intendo la cosa stessa. Essi parlano della cosa e intendono se stessi»), è ambiente di elezione di questo modo di riflettere la realtà.

Siamo condannati ad una cattiva superficialità, e alla bulimica necessità di esternare il nostro punto di vista, che risulta complementare alla cattiva profondità della dietrologia e del complottismo.

Io so che non esiste una realtà più vera dietro ad una realtà meno vera. Io so che non v’è  noumeno dietro il fenomeno. Io so che  «l’apparenza non nasconde l’essenza, la rivela».  Ma spesse volte non sono in grado di distogliere lo sguardo dalle meravigliose mani di Hitler. Non riesco a compiere il tragitto verso il contesto, verso la fonte del senso, verso quella totalità dei fatti che «determina ciò che accade ed anche tutto ciò che non accade».

E verrà anche il giorno, ne sono certo, della incapacità di testimoniare il  disagio. Dell’approfondimento ridotto a intrattenimento. E quello sarà il giorno del silenzio. E’ accaduto a uomini con capacità eccezionali, le cui parole hanno saputo sfidare lo “spirito del tempo”.

Non mi è dato sapere se quello sarà il silenzio della sconfitta o la conquista del silenzio:

Quando il facondo si scusò /  che la voce gli veniva meno / il silenzio si presentò al tavolo dei giudici  / tolse il panno dal volto e /  si diede a riconoscere quale testimone.2

1. Aldo Gargani, Introduzione a Wittgenstein

2. Bertolt Brecht

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