I.
«Sono partito dal quotidiano, da ciò che nella vita, ci trascina senza che ne siamo coscienti: l’abitudine, o meglio la routine, cioè i mille gesti che sorgono spontaneamente, si esauriscono da soli, senza che intervenga una deliberata decisione, e che si svolgono fuori dalla sfera della piena coscienza.»[1]
Il denaro, insieme ai comportamenti, alle procedure e alle sensazioni ad esso connessi, è il quotidiano per eccellenza. Quotidiano nel quale siamo immersi e del quale è difficile avere contezza allo stesso modo, in cui è difficile per il pesce avere contezza dell’acqua.
Quotidiano per il quale ogni risposta espone a nuove domande e ogni approfondimento conduce a nuove profondità. Profondità dalle quali è bene proteggersi ponendo l’origine del denaro nella “notte dei tempi” oppure lasciando il discorso agli “esperti” in primis, agli adepti della triste scienza e a seguire alla brigata delle scienze umane.
II.
Il denaro è umano. Ciò che è umano è ben strana cosa, come del resto strana cosa sono gli animali, e incauto fu Adam Smith, il più filosofo degli economisti (insieme a Marx), a fondare nel principio della propensione allo scambio, per la quale «nessuno ha mai visto un cane fare con un altro cane uno scambio leale e deliberato di un osso contro un altro» [2], la differenza tra animali e uomini.
Sul principio dello scambio, Smith, sviluppa da un lato la sua teoria del valore e dall’altro delinea, a partire dalla descrizione dei limiti del baratto, la storia dello sviluppo e della emersione della “terza merce” .
La “narrazione” smithiana è unanimemente accettata, ma nell’unanime accettazione leggo la volontà di non andare oltre una forma di coerente rispetto verso ciò che «ci trascina senza che ne siamo coscienti».
Perché fermarci a considerare il baratto l’inefficiente precedente del denaro? Perché non leggervi l’estensione ad ogni merce della qualifica stessa di denaro? Perché non spiegare il baratto nei termini di una caotica babele in cui ogni merce assurge a denaro, in cui ogni merce possiede in proprio ed esprime autonomamente e per sé stessa una referenza di valore?
III
Descrivere la storia come una sequenza di inizi e fini ne facilita la comprensione e la memorizzazione. Ma ci allontana dalla verità.
Sostenere il peso di quel quotidiano in cui senza inizio e senza fine i fatti che si contraddicono e tra loro irriducibilmente incoerenti convivono fianco a fianco. Comprendere la paradossale coesistenza di economie, linguaggi, comportamenti di cui un ’analisi eccessivamente tesa nel fornire spiegazioni, rileva il senso nel loro succedersi. Il denaro non è solo la soluzione alle criticità poste dal baratto in termini di efficienza.
[1] Fernand Braudel, La dinamica del capitalismo, Il Mulino, Bologna, 1981 p. 28
[2] Adam Smit, La ricchezza delle nazioni, UTET, Torino, 1975 p. 91