Potrei parlarvi di me, e dirvi che lavoro nell’editoria ormai da più di vent’anni, e che credo di saper fare questo mestiere. Ma forse, il miglior modo per dirlo sono i libri che pubblicherò. Pertanto, preferirei parlarvi allora di questa casa editrice. Essa si pone come obiettivo quello di favorire l’incontro tra la cultura economico finanziaria e la cultura tout court, nella convinzione che la netta distinzione dei saperi sia uno del mali che affliggono l’età moderna, che riesce a dire l’infinitesimo del particolare per poi scoprire di non riuscire più a farfugliare nemmeno il nome dell’universale. Eppure basterebbe riflettere sul significato etimologico della parola “comprendere”: “prendere insieme”, “cum prehendere”. “Comprendere” significa dunque riunire il molteplice: “E pluribus Unum”. È il cuore stesso dell’Umanesimo e del Rinascimento.
Potremmo anche dirlo con le parole di Tansillo nel Dialogo secondo degli Eroici Furori bruniani:
«All’ora [l’uomo] è in stato di virtude, quando si tiene al mezzo declinando da l’uno e l’altro contrario: ma quando tende a gli estremi inchinando a l’un e l’altro di quelli, tanto gli manca de esser virtude, che è doppio vizio, il qual consiste in questo che la cosa recede dalla sua natura, la perfezzion della quale consiste nell’unità: è la dove convegnono gli contrarii, consta la composizione, e consiste la virtude».
Difficile individuare una materia vana, che non sia degna di apprendimento. E difficilissimo sarebbe certo parso a Girolamo Ruscelli, cinquecentesco poligrafo, curator di classici e alchimista, fondator dell’“Accademia dello sdegno” e, insomma, gran curioso, che sotto lo pseudonimo di Alessio Piemontese compilò un trattatello per «trovare rimedi con ogni facilità» e anche, se non bastasse, «per vedere in sonno fiere selvatiche». Ve ne parlo perché il logo della casa editrice è preso da un libro suo, Delle imprese illustri con espositioni et discorsi (Libro quarto, Venezia, 1583), ed è l’impresa di Cosimo I de’ Medici “Duca di Fiorenza” (che pure del Capricorno non era, a differenza mia). Il motto è latino, ripreso all’uopo dal Giovio: «FIDEM FATI VIRTUTE SEQUEMUR». Per ribadire l’importanza della colleganza al fine di addivenire al vero, nessuna chiusa potrebbe superare i versi del Poema degli astri del poeta latino Manilio: «Chi potrebbe conoscere le cose celesti se non per concessione celeste, / e chi giungere alla scoperta di Dio, se non colui che è parte del divino?».
Edoardo Varini legge passi dal Manifesto del Surrealismo (1924) e dalla Lettera alle veggenti (1925) di André Breton from glueglue on Vimeo.