La finanza comportamentale – Introduzione

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di Federico Costalonga

Consulente finanziario indipendente

Il presente articolo costituisce la prima tappa di un percorso che ci condurrà all’approccio agli investimenti attraverso la Finanza Comportamentale. Ci avvicineremo all’argomento con un’introduzione non troppo accademica e, passando attraverso l’affascinante mondo del rischio, approfondiremo il concetto chiave dei conti mentali, fino a giungere alla realizzazione pratica del portafoglio comportamentale.

La Teoria Classica della Finanza basa le sue argomentazioni sull’ipotesi che i soggetti siano razionali e si comportino in funzione di massimizzare l’utilità delle scelte e che, di conseguenza, i mercati siano efficienti.

Il concetto principale della Teoria Classica della Finanza è fondato essenzialmente sulla funzione dell’Utilità Attesa.

Secondo tale teoria i soggetti razionali effettuano le scelte in base all’utilità attesa più elevata e a parità di utilità attesa scelgono l’ipotesi meno rischiosa.

In questo ambiente è stata sviluppata la Moderna Teoria di Portafoglio, che fornisce un elegante riscontro a tali considerazioni attraverso la rappresentazione della Frontiera Efficiente.

L’ottimizzazione di portafoglio funziona proprio rispettando tale principio:

– per ogni attesa di rendimento viene scelta la combinazione contenente meno rischio, mentre per ogni attesa di rischio sarà preferita la combinazione con la maggiore attesa di rendimento.

Salvo poi osservare che nella realtà i comportamenti dei soggetti vengono attuati in maniera differente.

Si riscontrano numerose violazioni della teoria, con scostamenti anche molto significativi.

Un esempio molto importante è rappresentato dal famoso Equity Premium Puzzle, il rompicapo che non riesce a spiegare come mai vi sia una così bassa partecipazione al mercato azionario, pur avendo osservato che le azioni offrono un rendimento maggiore rispetto alle obbligazioni nel lungo periodo.

In secondo luogo, non si riesce a spiegare il motivo per cui le preferenze verso le azioni siano così instabili.

Pochi investimenti in azioni e di breve periodo sono quindi due caratteristiche di un fenomeno diffuso, in aperta violazione alla “razionalità” dei soggetti.

Gli investimenti in azioni vengono effettuati sempre meno con lo spirito da cassettisti e sempre più in ottica speculativa, a volte con orizzonte temporale anche solo di pochi giorni.

Sulla base di queste considerazioni sono stati compiuti due successivi passi avanti nell’elaborazione della teoria osservando che:

1) a fronte del fatto che prospetti con la stessa utilità attesa non hanno necessariamente anche lo stesso rischio, bisognerà tenerne conto nelle valutazioni delle funzioni di utilità soggettive;

2) Non tutti i soggetti hanno lo stesso orizzonte temporale, quindi i pesi delle asset class in portafoglio dovranno essere aggiustati in base a tali esigenze, allo scopo di modificarne anche il rischio complessivo.

Si rende poi necessario definire il significato della parola “rischio”, termine al quale si possono dare diverse interpretazioni, a seconda del fatto che lo si stia osservando attraverso la statistica, piuttosto che attraverso la psicologia degli individui.

La teoria classica associa il rischio al concetto di deviazione standard, conosciuta anche come volatilità.

La finanza comportamentale individua misure di rischio coerenti con gli aspetti psicologici. Le più idonee risultano essere quelle associate al concetto di possibile perdita e di stima della sua eventuale entità.

Da un punto di vista comportamentale la non appropriatezza delle misure convenzionali, basate su indicatori “simmetrici”, tipo appunto la volatilità (o anche di altri più sofisticati, come vedremo anche negli approfondimenti successivi) sembra essere percepito in qualche modo dagli individui che dimostrano nell’evidenza dei fatti di essere più cauti e conservativi nelle scelte di portafoglio.

Le osservazioni del comportamento degli investitori hanno permesso di sollevare qualche dubbio sull’applicazione generalizzata delle regole della Teoria Classica.

La finanza comportamentale ha permesso di esplorare queste dinamiche mentali e di cogliere al meglio questi aspetti.

Tale nuova disciplina si pone in maniera complementare rispetto a quella classica. Non intende confutarne i principi, bensì ha lo scopo di fornire un quadro più ampio e completo nel descrivere l’approccio al rischio e le dinamiche legate all’utilizzo dei conti mentali.

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Integrando la Teoria Classica con le nuove osservazioni della Finanza Comportamentale saremo in grado di comprendere al meglio il comportamento degli individui, di aiutarli a definire degli obiettivi ed a rimuovere, per quanto possibile, l’ansia dell’andamento dei mercati.

In linea di massima sussistono tre diverse situazioni in cui ci si trova a decidere come impegnare il denaro:

– la prima è rappresentata dal caso in cui sono chiare sia le esigenze che le soluzioni;

– nella seconda sono chiare le esigenze ma non le soluzioni;

Queste prime due situazioni, tendenzialmente, rappresentano i casi più semplici da gestire.

Nella terza situazione non sono invece chiare né le esigenze, né le soluzioni.

La continua offerta di prodotti, trovando terreno fertile nel terzo tipo di ambiente, ha purtroppo alimentato un meccanismo di ricerca di solo rendimento, a volte anche a caro prezzo in termini di rischio.

La Finanza Comportamentale ci può aiutare in questo compito.

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