Siamo immortali? Se sì in che senso?

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dott. Antonio Monteleone

A parlare di un tema quale l’immortalità si può essere giudicati esoterici, noi potremmo definirci “sovversivi” perché destabilizziamo il pensiero post-moderno affrontando la più “grande narrazione” di tutti i tempi: l’immortalità. Raggiungere l’immortalità è sempre stato il più grande desiderio del genere umano. Perché terminare banalmente la nostra vita con la morte?

Nelle varie risposte date al post morte c’è il filo conduttore delle concezioni funerarie di ogni tempo e luogo, sempre legate al desiderio di permanenza, continuità, conservazione del corpo e dell’anima. L’inumazione ne è il segno più tangibile e antico. Secondo i ritrovamenti il primo tipo umano che ha seppellito i morti, accompagnandoli con dei gesti rituali, è stato il Neanderthal, un ominide strettamente affine all’Homo sapiens, che visse nel periodo paleolitico medio, compreso tra i 200.000 e i 40.000 anni fa. I corpi erano adagiati entro una fossa scavata appositamente, talvolta ricoperta da una lastra (come a La Ferrassie), deposti rannicchiati in posizione dormiente e accompagnati da strumenti in selce, molto probabilmente deposti accanto al morto con l’idea di essere usati in un’altra vita.

Questo richiamo degli utensili nelle tombe ci risveglia immediatamente le immagini delle mummie e dei canopi degli antichi egizi Il culto dei defunti diventa inintelligibile senza il convincimento di sopravvivere alla morte. Inoltre questo tipo di culto ha un suo nucleo forte in una credenza nella sopravvivenza completa dell’uomo corpo e anima, sebbene questa esistenza post mortem assuma caratteri molto diversi – da quella umbratile a quella con piena reintegrazione o anche trasfigurazione ma nell’integrità di corpo e anima – a seconda dei differenti convincimenti religiosi.


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Io intendo fermarmi alla soglia di affermazioni di fede e chiedermi: cosa si ha in mente oggi quando si parla d’immortalità? C’è modo di sviluppare un procedimento razionale da cui si evinca che tutti noi, nessuno escluso, è immortale nella sua interezza o almeno in qualche aspetto? Che si ha in mente oggi quando si parla d’immortalità?

La risposta non è univoca e vi sono diversi convincimenti circa i modi per impegnarsi ad essere immortali. Compiere qualche impresa che faccia echeggiare il proprio nome per l’eternità. Sia essa buona o cattiva: l’importante è che catturi l’attenzione dell’opinione pubblica.

Il transumanesimo (o transumanismo), è un movimento culturale che sostiene l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare all’infinito le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, come la malattia e l’invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post umana. È la versione moderna del lavoro di quanti, in epoche passate, speravano di rendersi immuni alla morte e campare felici trovando la formula dell’Ambrosia, la bevanda che rendeva gli dei immortali ma che era anche in grado di rendere immortale chiunque ne scoprisse la formula e la bevesse.

Ugo Foscolo compose Dei sepolcri a seguito dell’editto di Saint Cloud, emanato da Napoleone nel giugno 1804 ma esteso al Regno d’Italia nel 1806, sulla regolamentazione delle pratiche sepolcrali.

L’editto stabiliva che le tombe venissero poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati, e che fossero tutte uguali. Si volevano così evitare discriminazioni tra i morti. Solo che … per i defunti illustri, invece, era una commissione di magistrati a decidere se far scolpire sulla tomba un epitaffio. Al centro del carme vi è il concetto di “illusione” che riafferma sul piano del sentimento quanto viene negato dall’intelletto. Così, anche se la vita dell’individuo ha fine nella materia, le illusioni, gli ideali, i valori e le tradizioni dell’uomo vanno oltre la morte perché rimangono nella memoria dei vivi consentendo a chi ha lasciato eredità d’affetti una sopravvivenza dopo la morte. Questi valori, queste “illusioni”, sono la Bellezza, l’Eroismo, l’Arte, la Morte, la Poesia.

Insomma… Molte delle concezioni attualmente prevalenti sull’immortalità le possiamo definire in primo luogo speciose, perché confondono il concetto di immortalità “mia” con la “memoria che altri hanno di me”, secondariamente come forme di elitarismi antidemocratici, perché privilegiano la memoria di alcuni e trascurano la maggior parte della gente. Perché io, quand’anche fossi senza arte né parte, non dovrei essere destinato all’immortalità?

Lasciamo questa sintetica analisi socio-antropologica e veniamo a una esperienza personale. In quarta ginnasio il professore di filosofia pensò bene di giocare sul nostro spirito competitivo e ci chiese: «Secondo voi chi dei due ha ragione: Eraclito o Parmenide?». Il che divise la classe in due.

Io, essendo stato sempre molto pragmatico mi dichiarai eracliteo: «Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va.».

Nel Poema sulla natura Parmenide, al contrario, sostiene che la molteplicità e i mutamenti del mondo fisico sono illusori, e afferma, contrariamente al senso comune, la realtà dell’Essere: immutabile, ingenerato, finito, immortale, unico, omogeneo, immobile, eterno.

Andando avanti con lo studio incontrammo Platone, (Atene, 428/427 a. C. – Atene, 348/347 a. C.), che assieme al suo maestro Socrate e al suo allievo Aristotele ha posto le basi del pensiero filosofico occidentale. Platone sostiene che esistono le Idee con caratteristiche opposte agli enti fenomenici: sono incorruttibili, ingenerate, eterne e immutabili. Queste Idee albergano nell’iperuranio, mondo soprasensibile e che è parzialmente visibile alle anime una volta slegate dai loro corpi. L’Idea, traducibile più correttamente con «forma», è dunque il vero oggetto della conoscenza: ma essa non è soltanto il fondamento gnoseologico della realtà, ossia la causa che ci permette di pensare il mondo, bensì ne costituisce anche il fondamento ontologico, essendo il motivo che fa essere il mondo.

Il gruppo di noi eraclitei rimase incantato da Platone, ma è con Aristotele che quasi tutti raggiungemmo il compromesso con i parmenidei della classe. Per Aristotele l’anima non è solo causa formale e motrice del vivente ma anche causa finale e quindi condizione primaria del finalismo immanente del mondo della vita. L’uomo vive consapevolmente per l’universale, valorizza la vita sino ai più alti livelli di attività. L’anima è l’essenza o forma sostanziale del vivente, e le facoltà forme accidentali. Attraverso i sensi che colgono la molteplicità dei particolari, l’intelletto arriva a concetti stabili e trasferibili a diversi enti individuali.

La prova filosofica chiara dell’immortalità dell’anima venne però con la filosofia medievale, con Tommaso d’Aquino. Eccola nei suoi termini essenziali. L’uomo pensa ed ama, afferra cioè i valori universali della verità e della bellezza, desidera la bontà e la felicità senza limiti di spazio e tempo e questo dimostra la spiritualità positiva che è incorruttibilità dell’anima ossia che l’anima umana, a differenza degli animali, non segue la sorte del corpo che si corrompe e muore. L’anima umana, perché è spirituale, non muore.

Relazione dal ciclo di incontri-dialogo organizzato da Marzio Bonferroni

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