Mi perdoni Sua Santità Francesco: ma a Barbiana è anche lei in esilio?

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Mi perdoni Sua Santità Francesco: ma a Barbiana è anche lei in esilio?

Un trafiletto: Libero Milone, primo revisore generale dei conti vaticani, ex presidente ed amministratore delegato di Deloitte, si è dimesso, andandosene con tre anni di anticipo e senza nemmeno troppo sforzo. Ha dato le dimissioni ed il Papa le ha accettate. Alcuni dicono che sia stato lo stesso Francesco a chiederle, dopo che Milone era incappato in un’indagine interna, dopo che «l’aveva fatta grossa».

Ma questi “alcuni”, questi cardinali, dicono una cosa improbabile.

Il revisore assunse l’incarico il 9 maggio del 2015. Cinque mesi dopo si accorse che il suo computer in Via della Concilazione era stato violato. In quel computer c’erano i bilanci ed i conti della Santa Sede e delle amministrazioni ad essa collegate. Documenti che prima dell’insediamento di Milone e dei suoi 12 collaboratori erano vagliati dalla Prefettura degli affari economici. Documenti il cui furto diede origine allo scandalo Vatileaks 2, quello di monsignor Balda, quello raccontato nei libri dei giornalisti Fittipaldi e Nuzzi, per intenderci.

Ma in fondo non è difficile capire l’accaduto. Immaginate che il revisore incaricato dal Papa venga a sapere che l’istituto che svolge la funzione di banca centrale della Santa Sede, l’Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica) inviti gli enti vaticani a trasmettere la documentazione finanziaria non a lui, ma alla società esterna Pwc.

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Questo revisore, Libro Milone, può fare solo due cose: scrivere una missiva agli enti vaticani che confuti la precedente indicazione dell’Apsa e, se questa missiva cade nel vuoto, dimettersi. Come potrebbe revisionare documenti che non riceve?

Ma ci rendiamo conto del livello di potere che detengono ancora in Vaticano i manovratori degli affari economici? E della totale inanità degli sforzi papali?

Un ammutinamento sfacciato, irriverente, protervo.

E il Papa, invece di difendere Milone, ne accetta le dimissioni.

Ora, ma come si può pretendere che la Chiesa cattolica ritrovi la sua credibilità quando il suo vertice è incapace di introdurre nell’amministrazione economica i minimi principi di trasparenza?

Molti dei problemi che oggi pensiamo ideologici o storici sono economici. L'”invasione” dell’Islam deriva dall’aver reso impossibile la vita a milioni di giovani coppie italiane, che hanno smesso di riprodursi. Se fermi tutti gli immigrati alle frontiere ma non ridai sicurezza lavorativa e sostanza salariale ai giovani connazionali il Paese muore, egualmente.

La Chiesa dovrebbe predicare oggi, per prima cosa, l’equità sociale. Ma come può farlo se è sentina del peggiore affarismo e del più ostentato privilegio?

Basta la preghiera di Francesco sulla tomba di Don Milani a riscattare? Perché, Francesco, stai a Barbiana e non in Vaticano a cacciare i mercanti dal tempio? Perché, se il fronte del combattimento è tra le Mura leonine, te ne stai in una frazione sperduta del comune di Vicchio, Mugello?

Vogliamo mantenere le posizioni di combattimento, per favore? O siamo in ritirata? Se così è, ammetiamolo però: la Chiesa dei poveri, del Vangelo, di Cristo è stata sconfitta da quella dell’avarizia e della crapula. È così? Se è così, i fedeli devono stare a guardare o sarà lecito tentare un riscatto, una redenzione?

E questa redenzione non dovrà cominciare dall’incazzarsi? Con quale autorità? Quella del Vangelo alla mano.

A presto. 

Edoardo Varini

(22/06/2017)

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