«Four more years»

«Four more years»

 

«Altri quattro anni»: è questo il cinguettìo con cui il presidente rieletto degli Stati Uniti, Barack Obama, ha voluto salutare, insieme alla nazione, la vittoria. C’è anche una foto, su Twitter, in cui il presidente abbraccia sua moglie Michelle, che nella foto è soltanto una sagoma femminile dai capelli corvini con un vestitino a fondo rosso e quadratini bianchi. Come una tovaglia da trattoria. Come il missile di Tin Tin, come certi tailleur des collections de printemps di Dior, come la segnalazione di un pericolo imminente nelle bandiere nautiche, e forse è questo il caso, e la barca è una nazione.

Al timone non c’è la donna dai capelli corvini, c’è suo marito, il primo afroamericano ad occupare la Casa Bianca, l’ex avvocato difensore dei diritti civili, l’ex senatore dell’Illinois, il premio Nobel per la pace 2009, il 44esimo presidente della nazione, quello che nel luglio dello scorso anno – se non avesse ceduto al ricatto del taglio della spesa pubblica avanzato dai repubblicani per approvare l’innalzamento del tetto legale di indebitamento – avrebbe visto la propria nazione fallire. Dicono che con 51 senatori su 100 questa volta Obama controlli il Senato. Ma questa è la maggioranza semplice. Serve a poco. Per portare un disegno di legge alla votazione dell’aula ne occorrono almeno 9 in più, di senatori: occorrono 60 voti.

Non parliamo della Camera, dove i democratici sono addirittura in minoranza. E come si è arrivati all’aumento del tetto di indebitamento? Con il prolungamento dell’effetto della riduzione delle imposte sul reddito effettuata da George W. Bush e sancita dal “Budget Control Act” del 2011. Ma l’anno prossimo questa riduzione scadrà e allora Obama, entro fine dicembre, dovrà scendere nuovamente a patti con le intransigenze conservatrici dei repubblicani, con chi si ritiene Taxed Enough Already, “già abbastanza tassato” ed è dunque indisponibile a qualunque inasprimento fiscale.

E pensare che è la prima cosa che vorrebbe fare il riconfermato presidente: aumentare le tasse ai redditi più alti per poter mantenere gli sgravi della classe media. Potrà riuscirci? No, a meno che non metta in conto di tagliare la spesa pubblica, dunque di ridurre le risorse a dipartimenti e agenzie federali, e poche cose sarebbero più impopolari.

Questo baratro fiscale che si spalanca sotto i piedi del 44esimo presidente da domattina, lo chiamano proprio così, “fiscal cliff”. I puristi diranno che cliff in realtà vale “dirupo, scogliera”. Ma perché non ne sanno di economia. È proprio un baratro, una voragine profonda e oscura che non permetterà ad Obama di fare le politiche che vorrebbe, che sinceramente vorrebbe.

La maggioranza del paese è con lui, ne abbiamo avuto la dimostrazione. La maggioranza del paese considera il Congresso – il parlamento bicamerale, Senato e Camera dei Rappresentanti – qualcosa di un po’ più simpatico di Fidel Castro e un po’ meno del regime nord coreano. Ma le regole democratiche questa volta imporranno politiche antidemocratiche. E Obama può pure dire: «Vogliamo un paese in cui tutti possano avere accesso alle migliori scuole» ed io vorrei anche credergli. Ma quel paese non saranno, per i prossimi quattro anni, gli Stati Uniti d’America. E non è nemmeno vero che l’economia sta migliorando. Nel momento in cui scrivo, le 16.50 del post Election Day, sulle borse è profondo rosso.

A presto. 

Edoardo Varini

(07/11/2012)

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